Editoriale

Quando governa lo spettro dei barbari

L’emergenza (quella vera non quella inventata ad arte) dei natanti in difficoltà nel Mediterraneo meridionale con le conseguenti problematiche/polemiche relative agli interventi di salvataggio hanno messo in secondo piano un problema relativo all’immigrazione di cui in Italia ormai non se parla più da anni. Mi riferisco alla scelta, per il nostro Paese, di un adeguato modello di integrazione dei residenti di origine straniera.
L’Italia è l’unico Paese tra quelli maggiormente interessati ai flussi migratori a non aver elaborato, nel corso degli ultimi decenni, un proprio approccio teorico all’accoglienza e all’integrazione delle persone appartenenti a comunità con proprie consolidate caratteristiche socio culturali, religiose ed etniche.
La Francia, per esempio, ha adottato quello che studiosi come Vincenzo Cesareo e Giovanna Rossi definiscono “modello assimilativo”. Questo approccio si fonda sull’idea di uno stato laico che garantisca l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, non riconoscendo diritti e trattamenti particolari alle minoranze etniche. Le comunità straniere sono tenute a conformarsi completamente alla cultura e alla società francese escludendo in tal modo dalla vita pubblica ogni espressione delle differenze culturali ed etniche di cui sono espressione. Il tutto in nome di una laicità e di una sovranità figlia della Rivoluzione francese e dell’idea illuministica di cui è stata espressione. Questo approccio ha prodotto negli anni una sempre maggiore frustrazione paradossalmente più evidente nei giovani di seconda e terza generazione che hanno portato da una parte alla loro ghettizzazione e dall’altra alle frequenti rivolte delle banlieue.
La Gran Bretagna, per contro, sconta nell’approccio all’immigrazione, le sue radici nell’esperienza coloniale del Commonwealth. Questo modello che potremmo definire multiculturalista, contempla sia il riconoscimento della diversità culturale delle comunità migranti sia il principio di pari opportunità. Il modello in questione è tipicamente di natura anglosassone dove il riconoscimento dei diritti soggettivi prevale sulla tutela delle caratteristiche comunitarie. E’ unapproccio che accomuna la Gran Bretagna alla legislazione nordAmericana. Entrambi i Paesi sono accomunati, però, anche da comuni difficoltà di convivenza tra culture ed etnie diverse spesso degenerate in conflitti urbani particolarmente violenti come nel caso del movimento “Black lives matter”.
Un Paese particolarmente interessante da prendere in analisi è la Germania. Qui vediamo applicato quello che Giovanna Rossi definisce “esclusione differenziale”. Il migrante è visto prevalentemente dal punto divista dell’inserimento lavorativo e l’inclusione è fortemente condizionata dalle caratteristiche e necessità del mercato del lavoro e dai cicli dell’economia tedesca. Il migrante viene vistocome “Gasterbeiter” (lavoratore ospite) e assimilato alla struttura economica nel periodo determinato dalle esigenze produttivesenza prevedere una stabile presenza nella società. Questo modello, in rapida fase di ripensamento, ha provocato molte difficoltà specialmente alle seconde generazioni che si trovano nel territorio tedesco fuori dalla logica che ha consentito ai loro padri di essere ammessi in Germania.
In Italia non si è voluto o saputo dare una fisionomia sia culturale che legislativa a questo aspetto della migrazione. Uno dei motivi risiede nel fatto che l’Italia, a differenza di Paesi come la Francia e la GranBretagna, non ha un retaggio coloniale forte e radicato pertanto il fenomeno migratorio è più recente e più eterogeneo rispetto a quei Paesi.
L’Italia subisce le contraddizioni della contrapposizione tra due visioni contrapposte. Da una parte da cultura cattolica democratica che fa sponda con le componenti laiche e progressiste di cui è espressione la legge 40 del 1998 detta Turco Napolitano e dall’altra la componente più reazionaria che ha generato la legge Bossi Fini del 2002. La legge 40 partiva dal principio che la migrazione non può essere considerata un fattore congiunturale ma deve essere vista come un elemento strutturale delle moderne società avanzate. A questo principio si aggiungono due elementi. Il primo è la constatazione della necessità di importare manodopera (da qui il preciso meccanismo di determinazione annuale di quote di ingressi per “motivi di lavoro” previsto nel testo legislativo). L’altro è la necessità di esternalizzare la tematica dell’accoglienza chiedendo alla Comunità europea di prendersi carico nel suo complesso del problema. Nonostante le buone intenzioni, al contrario di quanto detto rispetto alla chiamata in correo della Comunità europea, il sistema ha finito per poggiarsi sulle spalle degli enti locali e delle organizzazioni umanitarie operanti sul territorio nazionale. La legge Bossi Fini risponde, per contro, ad una logica che si potrebbe definire “punitiva” della migrazione. Il migrante è visto come unsoggetto disposto a forzare i regolamenti internazionali per raggiungere i propri obiettivi e pertanto (questo è il sottinteso neanche troppo celato) a rischio di comportamenti criminali. Lungi dall’aver corretto le contraddizioni della legge 40, la nuova normativa genera preoccupazione per la voluta farraginosità e lungaggine delle procedure di identificazione che costringe i migranti a lunghe soste in luoghi di vera e propria detenzione e una politica dei respingimenti anche verso Paesi che non hanno adeguati standard di rispetto dei diritti umani come stabilito dalle normative internazionali. Rimpatri inficiati, peraltro, dall’assenza in molti casi dei previsti accordi bilaterali sul tema. Una cosa è certa, l’Italia non può permettersi il “modello Cutro”, la sostituzione della tutela della vita in mare con l’applicazione di una norma di pubblica sicurezza. I naufraghi non possono essere comparati a persone che compiono un atto illegale per propria scelta. Insistere a chiedere, anche a polemica politica rientrata e dopo tre settimane dal naufragio, se si rendono conto del pericolo che comporta affrontare il mare in quelle condizioni significa, prima che indegni di governare un Paese come l’Italia non essere degni di rispetto come essere umano, come donna e come tutto l’armamentario elencato nei comizi. Purtroppo questo governo ha scelto di continuare a spingere sui tasti della propaganda in una sorta di interminabile campagna elettorale che non promette nulla di buono né sul fronte dei migranti né su quello dei diritti sociali né tanto meno, per quanto riguarda l’economia, sulla tutela delbenessere delle famiglie.

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