Ambiente

Come il sale anti-gelo inquina le falde

Da sempre il sale è utilizzato sulle strade per favorire la fusione del ghiaccio nei periodi invernali. Una pratica diffusa ovunque i cui effetti, però, potrebbero avere un impatto sulle acque sotterranee non solo nei mesi freddi. Lo sostiene uno studio dell’Università del Delaware. L’indagine, guidata da Rachel McQuiggan, ricercatrice del Delaware Geological Survey, un ente associato allo stesso ateneo, si è basata sul monitoraggio delle falde idriche di un bacino di infiltrazione. Ovvero di una di quelle grandi vasche poste sul ciglio della strada che consente la raccolta dell’acqua piovana.

L’idea di fondo, spiega McQuiggan, è quella di proteggere dalle infiltrazioni del sale le acque di superficie. I bacini sono progettati di conseguenza “con l’idea che le acque piovane beneficino di un filtraggio naturale quando si insidiano nel terreno e che i contaminanti si diluiscano mescolandosi nelle falde sotterranee esistenti”. Ma questa operazione, in ogni caso, non è priva di impatto.

“Le pratiche di gestione ottimale dell’infiltrazione mirano a evitare che il sale inquini i corsi d’acqua, ma questo può provocare il trasferimento di sostanze inquinanti alle risorse idriche del sottosuolo”, si legge nella ricerca. “In risposta alla scarsità di studi in materia, abbiamo monitorato i livelli idrici e la qualità delle acque sotterranee a varie profondità in una falda intorno a un bacino di infiltrazione, utilizzando sensori in situ abbinati a campionamenti”.

Lo studio, svoltosi da metà maggio 2019 fino al febbraio dello scorso anno e pubblicato sul Journal of Environmental Quality, una rivista dell’American Society of Agronomy, della Crop Science Society of America e della Soil Science Society of America, ha permesso di chiarire quali dinamiche – dalle caratteristiche geologiche alle proprietà del suolo – influenzino il movimento dell’acqua salata nelle profondità del terreno. Un fenomeno, precisano i ricercatori, che finisce nel lungo periodo per ribaltarsi anche sui corsi di superficie. Ai quali le acque sotterranee del Delaware contribuiscono in una misura che può raggiungere l’80% del totale.

L’aspetto più significativo è dato dalla capacità del sale di infiltrarsi tutto l’anno. Non solo in inverno, dunque. A essere determinante è la capacità del terreno di trattenerlo anche se i movimenti dei suoi elementi di base variano: il cloro, ad esempio, si muove più facilmente nell’acqua, mentre il sodio tende a legarsi alle particelle del terreno. “Le interazioni acqua-matrice sotto il bacino nella zona vadosa (ovvero tra il piano campagna e l’area freatica, ndr) hanno influenzato il trasporto di sodio nelle falde sotterranee”, spiega la ricerca.

“Il movimento del sodio è stato ritardato rispetto a quello del cloruro, indicando un tempo di permanenza più lungo. Le concentrazioni di radio erano correlate a quelle del cloro, suggerendo che la ricarica con impatto salino avesse causato il desorbimento dell’elemento stesso nelle acque sotterranee a causa dell’incremento della loro salinità”.

Importante anche la variabile climatica. “Se la primavera e l’estate sono particolarmente secche”, spiega McQuiggan, “il sodio può impiegare più tempo a raggiungere le acque sotterranee. E se nel Delaware, le nevicate si sciolgono e scorrono via dalle strade entro pochi giorni dalla loro caduta, nei climi più freddi l’elemento può rimanere congelato per mesi”.

Alla ricerca della migliore soluzione
Le dinamiche che condizionano le infiltrazioni del sale sono da tempo oggetto di interesse. Le acque sotterranee, ricorda ancora McQuiggan, forniscono quasi la metà di tutta l’acqua potabile del mondo. L’intrusione di acqua salata nelle falde, ha ricordato inoltre la FAO, favorisce la salinizzazione eccessiva dei terreni, un fenomeno che riguarderebbe dal 20% al 50% dei campi agricoli del Pianeta.

“Nel Delaware centrale e meridionale, le acque sotterranee sono l’unica fonte di acqua potabile“, sottolinea la ricercatrice. ” Speriamo che i risultati di questo progetto incoraggino le migliori pratiche di gestione nell’uso degli sghiaccianti per proteggere le risorse idriche”.

Al momento, ricorda lo studio, i metodi per sciogliere il ghiaccio rendendo sicure le strade – un obiettivo ovviamente irrinunciabile – sono molteplici. La sabbia, ad esempio, fa aumentare la trazione sulla superficie e ha un impatto minimo sulle falde acquifere anche se l’operazione richiede ulteriori attività di manutenzione. Altri agenti “sghiaccianti” a base di carboidrati rappresentano un’alternativa ma spesso vengono comunque utilizzati in combinazione con il sale. Ogni opzione, rilevano in ogni caso gli autori, presenta pro e contro in termini di impatto sull’ambiente e di costi.

Matteo Cavallito (Resoilfoundation)

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