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QUELLA NON ERA UNA BARCA MA UN FUSCELLO

Non si può dire che sia stato il mare grosso ad impedire il soccorso, è solo una scusante per coprire ciò che non è stato fatto per mancanza di mezzi adeguati al soccorso in quell’area, probabilmente non coperta dalle attenzioni che dovrebbero essere mantenute su tutte le nostre coste”. A parlare con i cronisti dell’agenzia Dire è un uomo della Marina mercantile, macchinista di lungo corso, che per trenta anni ha navigato il mare. Sulla tragedia di Crotone, in cui un barcone pieno di migranti è naufragato nella costa di Steccato di Cutro provocando decine di vittime tra cui anche minori, non è stato tanto il mare grosso, secondo lui, ad aver reso impossibile i soccorsi, ma la presenza di rimorchiatori vicini: “Siamo messi male sa, non ci sono navi” ammette sconsolato e poi, come secondo elemento cruciale, bisogna tener conto della “distanza”.

“QUELLA NON ERA UNA BARCA MA UN FUSCELLO”
“La mancanza di mezzi adeguati, la tempestività alle risposte dei naufraghi e l’incognita delle reazioni meteo marine, la presenza dei rimorchiatori vicini con la giusta attrezzatura”, sono ciò di cui tener conto per scongiurare tragedie come questa. “E poi la domanda si pone – prosegue nell’intervista – su come un natante di quelle ridicole dimensioni avrebbe potuto comunicare con i soccorsi, aldilà del sovraccarico di persone, essendo sprovvisto di quegli stessi mezzi necessari a lanciare persino un Sos. Con un mare forza 7 la barca non si spezza, ma quella non era una barca”, ribadisce il marinaio denunciando le responsabilità criminali degli scafisti. “Il tempo è un fattore determinante – spiega – se ci fosse stato a 60 miglia un rimorchiatore ci avrebbe messo quattro ore. Le persone su quella che non era una barca, ma un fuscello, sarebbero morte comunque, non sarebbe cambiato nulla”.

Non è il mare grosso quindi ad aver ucciso quelle persone condannandole a non esser soccorse, ma quel relitto su cui viaggiavano e uno scarso presidio delle coste: “Il ricordo del mio passato mi riporta al largo del Golfo di Guascogna a rivedere il momento in cui la nave su cui navigavo sarebbe dovuta affondare, se non ci fosse stato l’Sos inviato dal comandante e l’aiuto di due rimorchiatori di alto mare. Era notte fonda, c’era tempesta, mare forza 9, il personale aveva salvagente e giubbotti di salvataggio sul ponte di riunione, c’era scarsa illuminazione e sistemi di emergenza in atto”, ricorda. Pensiamo invece, continua il marinaio, ai momenti in cui “questi naufraghi stavano combattendo con il mare tra grida, paura, freddo, senza saper neppure nuotare“. Chi dice altro, chi racconta che si potevano salvare anche con un barchino? “Conta la distanza e la tempestività – ripete – chi dice altro non conosce il mare”.

Si stima che l’imbarcazione avesse a bordo anche oltre 170 persone, fa cui bambini e nuclei familiari, partite dalla Turchia e provenienti principalmente da Afghanistan e Pakistan.

Nel 2022 gli arrivi dalla Turchia hanno rappresentato circa il 15% del totale degli arrivi via mare in Italia. Quasi la metà delle persone arrivate lungo questa rotta sono state persone in fuga dall’Afghanistan.

“In un contesto storico caratterizzato da persone spinte a fuggire da conflitti e persecuzioni è più che mai necessario rafforzare la capacità di salvataggio, che risulta ancora insufficiente, per evitare tragedie come questa” ha dichiarato Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. “È inaccettabile assistere a simili orrori, con famiglie e bambini affidati a imbarcazioni fatiscenti e inadatte alla navigazione. Questa tragedia deve indurre ad agire e agire subito”.

“Nel Mediterraneo la vera emergenza non è quella numerica ma quella umanitaria”, ha affermato Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di Coordinamento dell’OIM per il Mediterraneo. “Questa tragedia dimostra come il fenomeno della migrazione via mare vada affrontato da tutti gli stati europei con un approccio che guardi di più alle molteplici cause che spingono le persone a fuggire sia dai paesi di origine sia da quelli di transito in queste condizioni drammatiche, anche attraverso un maggior sostegno umanitario e allo sviluppo”.

Dopo questa tragedia, secondo il Missing Migrants Project dell’OIM, quest’anno sono almeno 220 le persone morte o disperse lungo la rotta migratoria del Mediterraneo centrale.

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