Editoriale

Se il politically correct genera mostri. Nuova concezione di essere umano cercasi

Avete mai provato allergia per qualche parola o espressione in uso?  A me è successo. C’è stato un tempo in cui non sopportavo le definizioni “controinformazione”, “medicina o magistratura democratica”.  Locuzioni che, a mio avviso, presuppongono opzioni diverse di esercitare le professioni, ma un medico o è medico o non lo è. Così un giornalista, un giudice e chiunque altro operi per il bene pubblico. Esistono parametri precisi come la Costituzione e i codici di deontologia entro cui si può e deve operare per dirsi giornalista, medico, magistrato. Non ha senso per me definirsi con delle sottocategorie. Questioni che tracciano comunque dibattiti superati.
Scorrendo, invece,in avanti il nastro della vita saltano fuori termini che attengono al genere. Sì, al sesso delle persone, stavo per scrivere degli uomini, il che mi avrebbe messo subito in cattiva luce. E già perché caro lettore e care lettrici in italiano pare sia considerato se non illegale, quantomeno altamente immorale e sconveniente utilizzare il plurale maschile: cari lettori.
Ma non solo, ora al maschile e femminile bisogna aggiungere per dar l’impressione di portar rispetto all’intera umanità acronimi impronunciabili come  LGBTQIA+ che non si riferisce più soltanto a Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender, ma a quella ancor più grande comunità di persone che non si riconoscono negli orientamenti sessuali e nelle identità di genere considerati “tradizionali”. Non ho capito se tra questi figuri anche quel mio amico d’infanzia che usava fare sesso  let yourself tramite fettina arrotolata nei canali dei termosifoni panciuti. Non scherzo mica tanto: il caos è seriamente impressionante. Galeotto fu probabilmente un certo femminismo di natura religiosa e un transfemminismo di cui ignoro bene il significato di origine sinistrese. Sta di fatto che dagli ’80 in poi c’è stato un tale delirio collettivo conclusosi sostituendo persino la vocale finale delle parole con un asterisco per accontentare tutt*. Quale sia l’umore di chi mi ha seguito fin qui non oso immaginarlo. Quel che so per certo è che l’inganno subìto culturalmente in questi anni è grave e pericoloso. Siamo di fronte a un’attenzione per i diritti solo a parole, appunto. Il dramma della diseguaglianza di trattamento persiste velenoso nella sostanza. Di democratico in quel segno grafico a forma di stelletta ( * ), che in genere serve di richiamo a note marginali o a piè di pagina, non c’è proprio nulla. Anzi sta per indicare più che una lacuna una vera e propria negazione dell’identità maschile o femminile specificamente degli esseri umani. E non ha nulla a che vedere con il diritto sacrosanto individuale di vivere affetti, emozioni, socialità, familiarità e quant’altro in privato o in pubblico.
L’obbrobrio colpisce dunque indistintamente tutti anche se la vittima prescelta, oltre ai ragazzi più fragili psicologicamente, al solito potrebbe essere la donna. Lei è la principale oppressa come dimostra la storia e, forse, in qualche modo anche Quarto Stato, l’opera di Giuseppe Pellizza da Volpedo che rappresenta le rivendicazioni dei lavoratori di fine Ottocento. Secoli fa, ora probabilmente la lotta di classe dovrebbe fare i conti con la lotta di genere. E una rivoluzione culturale che non ha più nulla a che fare con Mao Tse-tung.
Così pensando viene facile ricordare Ipazia, l’inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio. In filosofia aderì alla scuola neoplatonica e non si convertì mai al cristianesimo. Oltre a tradurre e divulgare molti classici greci insegnò e divulgò fra i suoi discepoli le conoscenze matematiche, astronomiche e filosofiche. Ma la religione cristiana in espansione non accettava che la donna potesse avere ruoli importanti nella società, men che meno una posizione libera in grado di aprire le menti e di non inchinarsi a nessun dogma. Ragion per cui alcuni uomini si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono in chiesa dove le strapparono la veste e la uccisero colpendola con i cocci. Sono passati svariati secoli dal 415, l’anno della morte della matematica di Alessandria, smembrata da una folla di religiosi esaltati eppure la cronaca ci sbatte ancora in faccia un orrore simile. Siamo a Roma, capitale della cristianità. La bestia in questo caso si chiama Oseghale, la vittima Pamela. L’uomo vede la giovane, confusa, disperata e ne approfitta per tenderle una trappola. L’attira nella sua abitazione e chiama  i suoi complici con l’obiettivo forse di praticarle uno stupro di gruppo. Questo probabilmente era il progetto originario, quello di una violenza del branco. Ma Pamela, pur essendo sotto l’effetto di droga, oppone comunque resistenza scatenando l’aggressione degli aguzzini sfociata nell’omicidio. Il depezzamento del corpo e l’occultamento dei resti nelle due valigie confermerebbero la volontà di distruggerla, farla sparire. L’annullamento fisico della donna si compie sezionando il cadavere in venti pezzi. Il dato per quanto macabro non descrive sufficientemente la disumanità del delitto che sta nell’uso di tanti maschi che per giorni usarono il corpo di quella fragile ragazza come fosse un panno sporco. Non una donna, una persona, un essere umano dunque bensì un pupazzo rotto, da spezzare e gettare tra i rifiuti. Questo terribile caso di cronaca nera potrebbe portarci ai tanti femminicidi, ma la mano indecisa cerca pensieri nuovi. Proviamo dunque a distenderla con le parole dello psichiatra Massimo Fagioli.
“L’uomo nuovo che ammira, rispetta, accetta la donna creativa senza diventare religioso deve derivare dalla donna stessa. È la donna che “mette al mondo” un uomo nuovo che riesce ad accettare questa possibilità della donna di essere creativa. Il primo rapporto umano è il rapporto tra bambino e donna, per almeno un anno o due. E se lì c’è la donna malata, la donna senza identità, il bambino si ammala… ma se la donna riesce a realizzare la sua identità, se l’uomo rispetta e aiuta la sua identità, probabilmente la nascita degli esseri umani e il primo anno di vita può sviluppare un uomo diverso…”
Parole che introducono nuove riflessioni. Se il politically correct genera confusione e talvolta persino sofferenze, stando a quanto denunciano sempre più psichiatri, e molti femminicidi si sviluppano tra le mura domestiche è necessario prendere in considerazione altre ipotesi di lavoro. La speranza di una rivoluzione sembrerebbe così affidata alle donne come accade in Iran. Se queste sapranno dunque ribellarsi all’oppressore maschio, senza imitarlo o farci alleanze (diventando loro vittime) un mondo diversamente dialettico si potrebbe finalmente immaginare. Sarebbe in tal caso un passaggio epocale con una nuova concezione di essere umano che bisogna riconoscere: non ci dispiace. C’è chi però potrebbe obiettare sul concetto di ribellione delle donne contro gli uomini prediligendo una ribellione da parte degli uomini contro una cultura che li considera violenti per natura, incapaci cioè di scoprire il diverso da sé come stimolo vitale. E allora? Stai a vedere che la malintesa libertà di definire infiniti generi sessuali contiene proprio questa ricerca.
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