Sport

Vincolo sportivo, un problema sociale. Ma per l’abolizione si slitta al 2024

Si chiama “vincolo sportivo”, è ben noto a chi frequenta palestre e campi e sta particolarmente a cuore alle società affiliate delle federazioni. Il suo scopo è, in effetti, tutelare gli interessi di queste società: interessi economici, innanzitutto, legati al presunto investimento che le stesse società farebbero sugli atleti promettenti. In parole semplici, il vincolo lega l’atleta alla sua società per un certo numero di anni, così che non possa praticare quello sport in altro contesto. Dovrebbe essere riservato ai futuri campioni, atleti destinati ad una carriera agonistica almeno nazionale: di fatto, è imposto a tutti gli atleti, indifferentemente, a partire da un’età spesso precocissima: in alcuni sport, per esempio, il vincolo scatta a 14 anni e attualmente dura 10 anni. Questo significa che, se il giovane atleta, per un motivo o per l’altro, vorrà cambiare società, non potrà farlo. Potrà cambiare sport, ma non società, a meno che non rinunci ai campionati federali. Di qui, l’alto tasso di abbandono sportivo tra i giovani, di cui si parla ogni tanto, ma mai abbastanza.

Ora, l’attesa riforma dello sport, contenuta nel decreto legislativo n. 163/2022, contiene, tra le varie misure, anche l’abolizione del vincolo sportivo: doveva entrare in vigore a luglio 2023, di fatto “liberando” già dal prossimo anno tanti giovani atleti, se non fosse che il Milleproroghe ne ha rinviato l’attuazione a luglio 2024. Il vincolo, insomma, per il momento resta.

Redattore Sociale ha chiesto un parere a Tiziano Pesce, presidente della Uisp.
“Come Uisp, ci siamo sempre espressi a favore del superamento del vincolo sportivo, che ovviamente non riguarda le nostre società e gli enti della promozione sportiva, che non fanno parte delle federazioni e non prevedono alcun vincolo. Abbiamo sempre ritenuto il vincolo uno strumento importante per le società sportive c delle federazioni, concentrate su prestazione e agonismo e su costruzione dell’atleta campione. Al contrario, il vincolo non è certamente uno strumento che possa favorire la promozione sportiva di base e lo sport sociale e per tutti. La riforma del sistema sportivo, che guardiamo con favore e auspichiamo porti a un riconoscimento del valore sociale dello sport, contiene anche il superamento del vincolo, che ora il decreto Milleprorghe ha spostato in avanti. Nello specifico, la riforma del lavoro sportivo slitta a luglio 2023, l’abolizione del vincolo a luglio 2024”.

Per la Uisp, il vincolo ha certo ragione di esistere “per la costruzione di atleti che possono avere l’ambizione di partecipare alle massime competizioni agonistiche. Va detto però che in questi anni, a causa di questo vincolo, si è creato un generalizzato e diffuso abbandono dello sport da parte di centinaia migliaia di giovani atleti che, dopo aver sottoscritto il tesseramento, magari già a 14 anni, senza essere neanche a conoscenza di ciò che questo avrebbe comportato, si sono ritrovati con un vincolo pluriennale che li legava a quella società. Parliamo di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, che quando poi per diverse ragioni hanno sentito l’esigenza di cambiare società, hanno scoperto di non poterlo fare, se non cambiando sport. In moltissimi casi, quei ragazzi e quelle ragazze hanno abbandonato ogni attività sportiva, con tutte le ricadute psicologiche e sociali che ne conseguono”.

Certo, riconosce Pesce, “il venir meno del vincolo può vanificare l’investimento che le società fanno sull’ atleta e quindi si può creare un problema economico: dovranno essere messi in campo strumenti di sostegno e di tutela per le società, come per esempio i premi tecnici di formazione. Ma è necessario che, in questo dibattito, si mettano al centro i ragazzi, le famiglie e il valore sociale dello sport, soprattutto dopo la pandemia. Un vincolo applicato a giovanissimi e giovani atleti, la maggior parte dei quali non hanno prospettiva di carriera agonistica, non fa che determinare quell’alto tasso di abbandono sportivo da parte dei giovani, di cui dovremmo maggiormente preoccuparci ed occuparci”.

Chiara Ludovisi

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