Ambiente

Il futuro è sottoterra. Cambia la Terra

Tutti (o quasi) sappiamo che pochi giorni fa, il 15 novembre, siamo arrivati a quota 8 miliardi di esseri umani. Ma pochi sanno che in un pugno di terra ci sono almeno altrettanti organismi viventi, dai batteri ai lombrichi. Tendiamo a tenere un po’ a distanza questa seconda informazione perché difficilmente simpatizziamo con batteri e lombrichi. Un errore che rischia di costarci caro perché batteri e lombrichi sono essenziali per la vitalità del suolo. E la vitalità del suolo è essenziale per l’equilibrio dell’ambiente e del nostro corpo. Un terreno senza vita è un terreno che non cattura il carbonio (e quindi aggrava la crisi climatica). E anche un terreno privo dei micronutrienti (calcio, ferro, sodio, zinco, manganese) che aumentano la qualità dei cibi.

Per la nostra salute non è un problema da poco. La Global Soil Partnership della Fao stima in oltre 2 miliardi le persone che soffrono di una carenza grave di micronutrienti e ricorda che “un suolo povero di nutrienti è incapace di produrre un cibo sano, con tutti gli ingredienti principali per la salute delle persone”. Inoltre un terreno in buono stato serve anche ad assorbire le piogge evitando che si trasformino in alluvioni. Lo ricorda George Monbiot, editorialista del Guardian, nel suo ultimo libro “Il futuro è sottoterra”: “Il suolo è come un nido di vespe o una diga di castori: un sistema costruito da creature viventi per garantirsi la sopravvivenza. Ogni ettaro di terreno erboso stabile può essere percorso da 8 mila chilometri scavati dai lombrichi. Questi cunicoli favoriscono l’aerazione del suolo e la penetrazione dell’acqua”.

Ma questa condizione del suolo per noi così favorevole sta diventando sempre meno comune. In Italia il 30% dei suoli risulta desertificato o in via di desertificazione. In molte aree della Pianura padana i campi hanno percentuali di fertilità molto bassi, sotto l’1%. E l’agricoltura è allo stesso tempo vittima e corresponsabile di questa situazione. A minacciare la fertilità e la ricchezza dei suoli agricoli è infatti anche la presenza di sostanze chimiche di sintesi, in parte provenienti dall’agricoltura intensiva.

libroterraPer questo, in occasione della Giornata mondiale del suolo che si celebra il 5 dicembre, Cambia la Terra – il progetto di FederBio con Legambiente, Lipu, Medici per l’ambiente, Slow Food e Wwf – ha reso pubblici i dati della campagna di informazione “La Compagnia del Suolo”, che ha esaminato la quantità di pesticidi presenti nei campi. I dati sono risultati in linea con il “Global Assessment on soil pollution” di Fao e Unep secondo cui “l’80% dei suoli agricoli in Europa contiene residui di pesticidi, con il 58% che presenta una mistura di varie sostanze”. I pesticidi più comunemente rilevati sono il glifosato e i suoi sottoprodotti, il Ddt e i suoi residui, e i fungicidi.

Anche “La Compagnia del Suolo” ha individuato nel glifosato, l’erbicida più usato al mondo, il prodotto della chimica di sintesi più spesso presente. Sono stati analizzati 12 campi convenzionali comparandoli con altrettanti vicini terreni biologici con le stesse colture, in un monitoraggio a carattere dimostrativo su un totale di 24 aziende agricole. Nei campi convenzionali sono state ritrovate 20 sostanze chimiche di sintesi tra insetticidi, erbicidi e fungicidi. Il glifosato compare in 6 campi convenzionali su 12, seguito dall’Ampa, un acido che deriva dalla degradazione del glifosato. Trovati anche il Ddt, che è proibito in Italia dal 1978, e il suo derivato Dde, in quantità non trascurabili. Per quanto riguarda i campi biologici, le sostanze di sintesi rilevate sono state tre: un insetticida contro le zanzare probabilmente proveniente dalle abitazioni vicine e, in uno stesso campo, Ddt e Dde, che resistono in campo presumibilmente da 44 anni. Sono le contaminazioni accidentali da cui l’agroecologia cerca di difendersi.

“L’agricoltura bio trae la sua forza e la sua ragion d’essere proprio dalla cura del suolo”, ha detto Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “Proprio perché si tratta di un’agricoltura che non usa sostanze chimiche di sintesi, ha bisogno di un suolo sano e vivo, che fornisca alle piante gli elementi essenziali per la loro crescita, elementi che non possono essere sostituiti da apporti estranei all’ecosistema agricolo naturale. I pochi studi condotti sulla qualità dei cibi bio riportano una maggiore concentrazione di micronutrienti rispetto a quelli prodotti con metodi convenzionali. Inoltre anche la necessità di contrastare la crisi climatica e la desertificazione rendono necessario un cambio di passo: non si può continuare a fare assegnamento solo sul continuo apporto di fertilizzanti chimici, prodotti con spreco di energia e sistemi altamente inquinanti e collegati a un mercato mondiale che negli ultimi anni ha mostrato la sua fragilità”.

Antonio Cianciullo

 

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