Ambiente

Cop27? Un bluff

Tante belle parole, pochi risultati. La delusione per le conclusioni del vertice sul clima Cop27 è stata evidente anche nelle parole del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.

Il pianeta è “ancora in rianimazione: dobbiamo ridurre ora e drasticamente le emissioni e questo è un problema che questa Cop non ha affrontato. Il fondo per le perdite e i danni è essenziale, ma non è una risposta se la crisi climatica cancella dalla mappa un piccolo Stato insulare o trasforma un intero Paese africano nel deserto”.

Fallimento evitato in extremis

La tentazione di liquidare come un fallimento le conclusioni del vertice Onu sul clima è dunque facile e risponde al sentimento dei molti negoziatori riuniti per due settimane a Sharm el-Sheikh e anche della vasta maggioranza degli osservatori.

Il fallimento totale è stato evitato, in extremis, grazie all’accordo, definito “storico” da molti, sul cosiddetto ‘loss and damage’: l’inclusione del meccanismo per compensare i Paesi più vulnerabili all’impatto catastrofico dei cambiamenti climatici (Paesi che sono anche quelli meno inquinanti) è un passo avanti; ma nei prossimi mesi, e prima della Cop28 negli Emirati arabi del prossimo anno, si dovra’ ancora comunque concordare la struttura di sostegno finanziario per i Paesi piu’ vulnerabili.

Sfiorato dunque il fallimento, ma solo di un soffio. Perché al di là delle faticose trattative riguardanti il ‘loss and damage agreement’, gli accordi più eclatanti di questa Cop27 sono stati solo un’estensione di quelli proposti nelle precedenti edizioni.

E questo in un momento in cui i livelli record di gas serra, le ondate di calore estreme e continue, così come la perdita di biodiversità, sono apparsi evidenti nei tanti rapporti presentati in Egittto e hanno mostrato in maniera eclatante la dimensione del peggioramento della crisi climatica globale.

Sulle emissioni, nessuna vera novità

Pochi i risultati, dunque. Ad esempio, in relazione alla mitigazione del clima, la dichiarazione “Accelerating to Zero (A2Z)” assicura l’impegno di oltre 200 Paesi, regioni e produttori ad accelerare, come indica il nome appunto, verso un trasporto a zero emissioni, eliminando la vendita di auto e furgoni con i motori a combustione a partire dal 2035.

La verità però è che non si tratta di una novità, ma di un’estensione della dichiarazione sui veicoli a emissioni zero firmata lo scorso anno alla Cop26 di Glasgow e alla quale adesso hanno aderito Spagna e Francia; impegno che però lascia ancora fuori gli altri grandi produttori di automobili del mondo come Cina, Stati Uniti, Giappone, India, Corea del Sud o Germania, tra gli altri.

Non solo: l’A2Z integrerà altri accordi precedenti, come quello raggiunto dall’Ue lo scorso ottobre, quando Consiglio, Commissione e Parlamento europei hanno annunciato l’intenzione di vietare la vendita di nuove autovetture e furgoni con motore a combustione a partire dal 2035.

Un altro esempio di ‘testo riciclato’ è l’alleanza globale per ridurre le emissioni di metano di almeno il 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020: è il modo più veloce per ridurre il riscaldamento a breve termine, come ha spiegato l’inviato speciale degli Stati Uniti, John Kerry, che ha accolto con favore il fatto che il gruppo degli aderenti abbia già raggiunto 150 Paesi ma ancora mancano Cina, India o Russia.

Contraddizioni sul contrasto alla deforestazione

Il vertice ha previsto anche impegni particolari da parte dei Paesi partecipanti e alleanze minori, impegni che certamente potranno avere un impatto significativo, come la proposta congiunta di Colombia e Venezuela di istituire un fondo contro la deforestazione in Amazzonia. Il governo brasiliano non la osteggia, anzi; e infatti il neoeletto presidente brasiliano Luis Inàcio Lula da Silva ha proposto l’Amazzonia brasiliana come sede della COP30 (che, in base alla rotazione ufficiale prevista, sarà affidata all’organizzazione di un Paese dell’area caraibica e iberoamericana nel 2025).

Tuttavia, Lula da Silva ha anche annunciato la sua intenzione di rilanciare l’industria petrolifera attraverso la compagnia statale Petrobras, quindi la sua posizione è a dir poco contraddittoria.

Al vertice in Egitto, poi, è sembrata anomala la presenza dei tantissimi rappresentanti delle aziende collegate ai combustibili fossili: secondo Global Witness, i delegati di queste aziende erano circa 640, 100 in più rispetto alla Cop26 di Glasgow, più di qualsiasi delegazione nazionale dall’Africa.

Alla fine, dunque, la lamentela generale sui risultati dei vertici sul clima è stata la stessa che nel passato: tante belle parole, poche buone azioni. C’è da dire che quest’anno il vertice era partito sotto i peggiori auspici: la guerra – che in realtà è iniziata nel febbraio 2014 ma non sembrava preoccupare troppo l’Occidente fino a quando le truppe russe non hanno invaso l’Ucraina otto anni dopo, nel febbraio di quest’anno – ha portato all’assenza della Russia in Egitto, così come all’assenza di Cina e India, due dei Paesi più inquinanti al mondo, geopoliticamente più vicini a Mosca che a Washington e Bruxelles.

Tante belle parole, poche azioni

Il secondo fattore che ha giocato ‘contro’ le buone intenzioni di tanti è stata la monumentale crisi dell’energia scatenata dal conflitto, crisi che rischia di far crollare l’economia occidentale e ha già provocato decisioni impensabili solo un anno fa (come quella presa dalla Germania di recuperare i suoi impianti nucleari per non paralizzare la sua economia).

Questo quadro generale spiega la limitata ambizione climatica dei partecipanti a questa Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP) rispetto alle edizioni precedenti.

Adesso l’appuntamento è per il prossimo anno negli Emirati, la ‘petrolmonarchia’ del golfo che ha già assunto società di pr per prepararsi all’evento e ripulirsi l’immagine. Quest’anno gli Emirati in Egitto avevano inviato la delegazione piu numerosa di tutti: oltre mille persone, e settanta dei presenti erano legati a compagnie petrolifere e del gas.

 

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