Ambiente

Rinnovabili al 100%? I tecnici ne sono convinti, mentre la politica guarda altrove

Il dibattito su come uscire dal sistema energetico basato sui fossili si fa finalmente sempre più concreto e serrato, sotto i colpi di eventi climatici estremi, prezzi dell’energia e guerre.

Ma, in un certo senso, sta diventando anche un dibattito simile a quello di qualche anno fa sul cambiamento climatico, cioè diviso fra chi lanciava l’allarme e chi negava che il cambiamento esistesse o fosse nostra la responsabilità

La scienza nel caso del cambiamento climatico ha ormai mostrato con decisione da che parte sta, e il negazionismo climatico, si è in gran parte ritirato dal discorso pubblico.

Sulla transizione energetica, invece, impazza ancora il “negazionismo delle rinnovabili”, cioè l’affermazione che le rinnovabili non riusciranno mai a sostituire quelle fossili, per cui o ci teniamo queste ultime, magari con il contentino del CCS, oppure dovremo per forza ricorrere al nucleare, come supporto agli intermittenti sole e vento.

Ma veramente la scienza non ha ancora deciso in merito alla transizione energetica?

La letteratura sul 100% rinnovabili

Un gruppo di ricercatori di 15 università europee, con Ugo Bardi dell’Università di Firenze, diretti da Christian Breyer della finlandese Lappeenranta University, è andato a controllare la letteratura scientifica sul tema, scoprendo che in realtà c’è già un notevole consenso sul fatto che un mondo al 100% a rinnovabili è già tecnicamente possibile, senza bisogno di aiutini fossili o nucleari.

Come riportato sulla rivista IEEE Access, la prima ricerca, apparsa su Science, a dire che era possibile risale addirittura al 1975, mentre per la seconda si sono dovuti aspettare altri 13 anni e per la prima che considerasse anche l’elettrificazione completa dei trasporti il 2005.

Da allora il rivolo è diventato un fiume, con una crescita del 27% l’anno a partire dal 2010: è infatti dal successo dei primi incentivi di massa per le rinnovabili in Europa che si è capito che l’industria poteva produrre le enormi quantità di impianti solari ed eolici necessari al passaggio verso il 100%.

“Oltre ad aumentare di numero, fino a toccare le 666 pubblicazioni al 2021, queste sono anche diventate sempre più approfondite e sofisticate, affrontando temi più complicati come la decarbonizzazione del trasporto aereo o delle industrie di acciaio e cemento, il bilancio economico o lo storage di energia, le tecnologie dei combustibili sintetici”, spiega Breyer.

“Restano ancora da approfondire alcuni aspetti, come la necessità o meno della cattura della CO2 dall’aria, oppure come minimizzare i disagi sociali della transizione, ma la risposta della scienza è ormai chiara: la transizione al 100% rinnovabili si può fare, ed è anche economicamente vantaggiosa”.

Peccato che la politica, al solito, ascolti poco la scienza, e continui a trascinare i piedi, magari aspettando un improbabile salvataggio dal nucleare a fissione o fusione: l’ultima arma di distrazione di massa impiegata da chi ha interesse a mantenere il sistema energetico più o meno inalterato.

L’ultimo studio di Mark Jacobson

Chissà che non serva ad accelerare un po’ le cose l’ultima delle ricerche scientifiche sulla transizione rinnovabile 100%, quella pubblicata dal prolifico Mark Jacobson, ingegnere ambientale della Stanford University, su Energy & Environmental Science.

Da anni Jacobson pubblica studi su come convertirsi alle rinnovabili: è partito dagli Usa (solo sulla sua patria ne ha fatti una cinquantina, e sempre più dettagliati), e poi via via si è allargato al resto del mondo, pubblicando nel 2017 la sua “roadmap” della transizione per oltre 140 nazioni.

Il lavoro di Jacobson, che non prende in considerazione nessuna fonte che preveda combustione, e quindi inquinamento, tipo le biomasse, è stato criticato in passato perché si limita a calcolare quanto solare, eolico e idroelettrico servirebbero a coprire gli attuali consumi, senza tenere molto in conto i fattori economici, sociali, politici e tecnici che rendono la transizione più complicata del solo calcolo dei GW necessari.

Con l’ultimo lavoro Jacobson e colleghi in parte si redimono, facendo i conti in tasca alla transizione in 145 paesi del mondo, dimostrando che sarebbe un affarone per clima e ambiente, ma anche per la sicurezza geopolitica (e su questo, con le conseguenze in corso della guerra in Ucraina, sfonda una porta aperta), per la stabilità delle forniture e per i conti di famiglie e imprese.

“I nostri scenari – dice Jacobson – hanno calcolato l’impatto economico di una copertura rinnovabile 100% della domanda di energia attuale, usando solo solare, eolico e idroelettrico (WWS), coadiuvati da adeguati stoccaggi. Una transizione che in alcuni paesi potrebbe completarsi già entro il 2033, in altri più tardi, ma comunque non oltre il 2050”.

Gli chiediamo, ma come si fa a superare l’intermittenza di sole e vento?

“Abbiamo raggruppato i 145 paesi in 24 regioni, prevedendo reti di interconnessione al loro interno, così da poter bilanciare domanda e offerta anche con lo scambio di elettricità da un paese all’altro, in modo da ottenere un equilibrio domanda offerta al 100% in tutte le occasioni”.

D’accordo, ma comunque servono accumuli, e non è che puntare su distese di batterie, farebbe costare l’elettricità molto di più?

“In realtà, anche aumentando del 50% il prezzo base delle batterie che abbiamo considerato per i calcoli, si vede che il costo dell’elettricità stoccata, aumenta solo del 3,2%. E non ci sono solo le batterie: quello che proponiamo sono altri tipi di stoccaggio molto economici. Per esempio, climatizzare le città con impianti di teleriscaldamento/raffreddamento, permetterebbe di accumulare l’eccesso di energia sotto forma di calore o freddo, in modo molto economico. Allo stesso modo, produrre idrogeno per parte dei trasporti è un altro modo economico per stoccare energia, così come è usare a questo scopo le batterie dei milioni di mezzi elettrici collegati alla rete”.

Fra nuovi impianti di produzione a fonti rinnovabili, sistemi di accumulo nella scala dei TWh e adeguamento colossale delle reti, potrebbe portare il vostro piano ad un costo astronomico…

“Circa 60.000 miliardi di dollari globalmente, spalmati, sui prossimi 30 anni. Può sembrare una cifra spaventosa, ma in realtà la si recupererebbe in meno di sei anni”.

Possibile?

“Certo. Avremmo una riduzione dell’energia necessaria a far funzionare il mondo del 56%, grazie alla fine degli sprechi termici da combustione inefficiente, con un taglio dei costi energetici privati del 62%, che passerebbero quindi da 17.800 a 6.600 miliardi di dollari. Inoltre, il ricorso alle sole rinnovabili senza emissioni inquinanti va a tagliare i relativi danni al patrimonio, all’ambiente, al clima e alla salute del 92%, riducendo i costi da 83.200 a 7.000 miliardi. Così i costi della transizione energetica verrebbero recuperati in circa sei anni, e quelli dei danni eliminati quasi completamente da subito”.

Ma un sistema simile, fra terreni coperti da pannelli, turbine, batterie, linee elettriche e da bacini idroelettrici, non è che monopolizzerebbe una fetta troppo grande del suolo terrestre?

“In realtà, a seconda degli scenari, serviranno solo fra lo 0,17 e lo 0,36% della superficie delle terre emerse, meglio se scelte fra le meno produttive da un punto di vista biologico. Una frazione irrisoria, in confronto ai vantaggi ambientali e climatici che la transizione offre”.

Però dimenticate i costi sociali: milioni di persone lavorano oggi direttamente o indirettamente per il settore delle energie fossili e resterebbero disoccupate.

“Non li dimentichiamo affatto, il punto è che non c’è nessuna perdita di posti di lavoro. Estrarre gas o petrolio richiede molta meno manodopera, e molto più specializzata, dell’installare e gestire grandi impianti solari, idrici o eolici. Il bilancio, alla fine, se si accompagna la transizione con opportuno addestramento e riqualificazione della forza lavoro, secondo noi sarebbe estremamente positivo: quasi 25 milioni di posti di lavoro a tempo pieno in più”.

Ma non serviranno anche tecnologie futuristiche?

“Il 95% delle tecnologie sono già disponibili sul mercato; le altre sono in via di sviluppo”.

Insomma, secondo Jacobson, passare a un sistema basato su sole, vento e acqua, può rivoluzionare il mondo in meno di 30 anni, garantendo un adeguato sviluppo umano globale, con più efficienza energetica, minimo impatto ambientale, costi minori e un’enorme creazione di posti di lavoro.

Forse l’ingegnere di Stanford pecca un po’ di ottimismo californiano, ma sarebbe ora che la politica si informi su questi scenari, invece di restare per paura o pigrizia abbarbicata all’archeologia industriale di fossili e nucleare, trovando così il coraggio di voltare pagina, senza più ascoltare più le sirene di chi teme la transizione energetica e perciò lavora per non cambiare mai nulla.

Alessandro Codegoni. Fonte: QualEnergia

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