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In Congo il Covid c’è ma non si vede

Il Covid in Africa c’è nelle metropoli, ma “non si vede nelle campagne”. Anche perché, al di fuori delle grandi città, non ci sono neanche i mezzi per individuare il virus, così come non arrivano i vaccini per problemi di trasporto e di conservazione. Senza contare che in una nazione come la Repubblica democratica del Congo, ad esempio, l’aspettativa di vita è in media 48 anni e di fatto non si arriva ad avere malattie croniche, perchè spesso “si muore prima”. A scattare la fotografia è un sacerdote bolognese, don Davide Marcheselli, da un anno aggregato alla missione dei padri saveriani in Congo, nella provincia del Sud Kivu, nella zona a est del Paese. “In Congo non esistono mascherina e distanziamento sociale”, racconta don Davide in un’intervista all’agenzia Dire prima del suo ritorno in Africa.

Rientrato a Bologna per un breve periodo, per alcuni impegni personali, il sacerdote sottolinea come, rispetto all’Africa, in Italia subito “balza agli occhi tutta la fatica che il Covid sta imponendo nelle relazioni sociali e nella vita concreta delle persone. Una stanchezza non solo fisica, ma spesso anche mentale, di fronte a una realtà che qui sta angosciando da quasi due anni”. Quanto al Congo, spiega don Marcheselli, “gli organi di informazione dicono che il Covid c’è. E credo anche io che ci sia“. Di certo, rimarca, “è maggiormente riconosciuto nelle grandi città, perché lì i tamponi possono essere fatti e forse anche certi sintomi si diffondono in una maniera più veloce”.

Nelle aree rurali del Congo, invece, il Covid “non lo si vede -spiega il missionario- per una serie di motivi. Non ultimo il fatto che l’aspettativa di vita in Congo è 48 anni, quindi tutte le difficoltà che il Covid impone agli anziani, lì non ci sono perché la gente non arriva a quell’età“. Il virus, inoltre, colpisce molto in condizioni di fragilità e di malattie croniche, ma “in Congo si muore prima per quelle patologie”. E poi il Covid colpisce molto in ambienti chiusi, mentre in quelle zone dell’Africa “la gente vive in strada e gli ambienti sono comunque areati”.

Quanto al vaccino, “c’è- spiega il sacerdote- ma è diffuso nelle città, perché nelle campagne è molto difficile portarlo e mantenerlo. Da quello che si sente, però, la gente sembra poco intenzionata a farsi vaccinare perchè c’è una paura abbastanza diffusa, non solo in Congo, che il Covid sia portato dall’estero e dall’Occidente. E quindi farsi vaccinare significa entrare in dinamiche per cui, si pensa, chissà che cosa portano. Per questo una bassa percentuale di persone è intenzionata a farsi vaccinare”, riferisce don Davide.

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Si devono istituire giornate della memoria per commemorare accadimenti tragici che altrimenti andrebbero rimossi via dal tempo, perché la memoria d’uomo dura il tempo della vita di una generazione. Poi si affievolisce fino a scomparire.
Il filosofo Hume parlava dei ricordi come di impressioni sbiadite che col passare del tempo si dissolvono.
Ma l’esercizio della storia serve per ricordare e mantenere le fonti di ciò che è accaduto, e mantenere vivo lo Spirito della Storia è a volte un dovere morale.
Poco più di 150 anni fa era uso comune, giustificato eticamente e giuridicamente, esercitare il dominio dell’uomo sull’altro uomo.
Forse non in molti si sono soffermati nella loro vita a riflettere più di cinque minuti su tutti i significati impliciti nel concetto di schiavitù e del colonialismo.
Credo che questo capiti anche per salvaguardare la propria sanità mentale, e soprattutto cercare di conservare l’innocenza che il tempo, e la scarsa memoria storica, ha potuto regalare ai figli di coloro che perpetravano tali disumanità.
Vi erano pratiche che venivano comunemente praticate dai proprietari terrieri come punizione: il taglio delle mani, delle gambe dei bambini che erano figli degli schiavi che non riuscivano a raccogliere la quota di gomma richiesta; oppure si intrattenevano sessualmente con le mogli degli schiavi stessi.
Una delle tante, inaudite punizioni corporali che venivano inflitte agli schiavi africani era anche la pena di morte.
A volte si fa riferimento alla schiavitù, ma anche al colonialismo, come una faccenda che non ci riguardi, come una cosa ormai datata su cui è normale soprassedere con una scrollata di spalle.
Io credo sia dovere di tutti ricordare e commemorare affinché queste cose cessino di esistere, perché purtroppo la schiavitù ha cambiato il volto, ma non è stata ancora abbandonata come pratica umana.
Potrebbe essere un'immagine in bianco e nero raffigurante 8 persone, bambino e persone in piedi
 Soumaila Diawara 

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