Attualità

Bandiere al vento, è pandemia

Venerdì 13 marzo ho partecipato al “Flash-mob sonoro” suonando, molto maldestramente peraltro, dal balcone di casa un brano al sax. Non mi aspettavo grandi risultati visto che abito in un piccolo centro e casa mia affaccia sul mare, infatti mi hanno ascoltato solo i condomini del mio palazzo.

L’ho fatto, però, con piacere perché credo che anche queste cose possono essere motivo per scambiarsi un like, un commento, un saluto oltre a riempire le strade deserte con un po’ di allegria. Non ho, invece, partecipato all’altro flash mob, quello che invitava tutti a cantare l’inno di Mameli.

Non l’ho fatto perchè quell’inno non l’ho mai cantato e mai lo farò così come non ho mai posseduto una bandiera italiana (tranne quella apposta al pennone di poppa della mia barca). Questo non perché non ami l’Italia come entità culturale ma perché non la riconosco come patria.

Non sono un patriota, non aspiro ad esserlo. Quando vado all’estero sono orgogliosamente italiano perché so che questo Paese è percepito come un luogo di cultura e di bellezza e di queste caratteristiche vado fiero. Da romano le mie radici sono storicamente e culturalmente transnazionali.

La mia ubicazione ideale sta nel mar Jonio che unisce due culture in quell’ straordinario laboratorio di civiltà che è la Magnagrecia. L’umanità nel corso dei secoli ha semplicemente elaborato le basi della filosofia greca e del diritto romano. In quel fecondo territorio trovo le mie radici e la mia cultura. Nello sguardo di quella gente trovo la sintonia che ci fa comunità.

Credo che questo valga anche per tanti altri italiani. L’altoatesino che guarda all’Austria, il piemontese che pensa alla Savoia come un unico territorio ecc. E nonostante io abbia come riferimento la Magnagrecia, se questa si facesse nazione non ne canterei comunque l’inno e non sventolerei orgoglioso la sua bandiera. Perché l’altro motivo per il quale non mi abbandono a manifestazioni patriottiche è che il nazionalismo, l’identitarismo, il sovranismo sono stati e lo sono tutt’ora i peggiori virus che gli uomini hanno saputo diffondere nelle nostre società nel corso dei secoli.

La Marsigliese, l’unico inno che mi tocca quando lo sento suonare, che nel suo testo ricorda i valori universalistici figli della rivoluzione francese è stata nel corso degli anni associato al più becero colonialismo transalpino. Il Congresso di Vienna del 1815 ridisegnò la geografia politica dell’Europa e ripristinò l’Ancien régime dopo gli sconvolgimenti apportati dalla Rivoluzione francese.

Gli ideali illuministi vennero affossati dalla visione nazionalistica delle varie potenze europee, fu la sconfitta del tentativo di dare all’umanità intera una prospettiva sovranazionale che togliesse dalle spalle dei popoli il giogo degli interessi nazionali. Si tornò al vecchio risico imperiale. Nel 1830-1831 ci furono tentativi di insurrezione contro i regimi assolutisti che, partendo ancora una volta dalla Francia, si diffusero poi in altri paesi europei, tra cui diversi stati italiani.

La Terza guerra di indipendenza portò, nel 1861, alla nascita del primo embrione di quella che sarà, dopo il 20 settembre 1870, l’Italia unita. Da romano il prossimo 20 settembre festeggerò i 150 anni dell’unità d’Italia. Nemmeno gli appelli all’internazionalismo proletario “Proletari di tutto il mondo unitevi” servì a superare le divisioni nazionali.

Il “secolo breve”, il ‘900, è stato il più tragico risultato dei nazionalismi. Due guerre mondiali, milioni di morti, le guerre d’Africa, il colonialismo, piaghe delle quali ancora adesso paghiamo il prezzo. Non ho nessun desiderio di rivivere quelle situazioni. La Comunità europea che sta dando il peggio di se in questo momento, nonostante tutto, rimane l’unica speranza per non ritornare ai tempi nei quali essere italiano, francese, tedesco o quant’altro significava essere chiusi nel proprio egoismo, a difesa dei propri interessi, disposti anche a farsi la guerra per imporli agli altri. Il nazionalismo, il sovranismo la guerra ce l’hanno come parte del proprio DNA, non è un inciampo della storia, ne è parte integrante.

E quindi io, ne adesso né mai, mi assocerò in una collettiva espressione di patriottismo, non canterò l’inno, non esporrò la bandiera italiana. Abbiamo altri modi per esprimerci reciprocamente solidarietà e vicinanza. Dopo un primo tentativo di ripiegarsi in se stessi i governi europei sembra abbiano capito che chiudere le frontiere interne non serve a nulla. Manteniamo attivo il trattato di Schengen, sentiamoci parte di un destino comune e lasciamo finalmente gli inni e le bandiere alle manifestazioni sportive.

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