Editoriale

Non basta un virus a renderci umani

Prima o poi passerà. Passò la peste nera che, ancora una volta provenendo dal nord della Cina attraverso la
Siria si diffuse in fasi successive alla Turchia asiatica ed europea per poi raggiungere la Grecia, l’Egitto e la penisola balcanica causando, tra il 1347 ed il 1353, dieci milioni di morti.

Passò la peste di manzoniana memoria del 1630 che fu un’epidemia diffusasi nel periodo tra il 1629 e il 1633 che colpì, fra le altre, diverse  zone dell’Italia settentrionale, raggiungendo anche il Granducato di Toscana e la Svizzera.

Passò l’influenza Spagnola che fra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo. Ne sono passate tante e più drammatiche di questo Covid-19 per cui anche questo Corunavirus (o vairus che dir si voglia) passerà.

La domanda che possiamo porci a questo punto è: quando tutto questo sarà passato, cosa resterà? Cosa ci
lascerà nelle nostre menti, nelle nostre vite e nelle nostre tasche. Avremo capito quanto la vita sia legata ad
eventi che possono stravolgere in un batter d’ali le nostre certezze, i valori fatui dell’apparire e dell’avere che guidano le nostre povere esistenze di privilegiati toccati da un benessere materiale immeritato.

Avremo modo di riflettere sulla scansione del tempo, quello dedicato al lavoro e quello dedicato agli affetti. Avremo modo di capire quanto sia inutile inseguire vantaggi economici pagandoli con la moneta più preziosa che abbiamo a disposizione; il nostro tempo.

Ripenseremo a quante cose ci siamo persi, quanti momenti, quante piccole e grandi gioie per non aver saputo dare le giuste priorità.

Guarderemo il cielo e lo vedremo insolitamente pulito e per un istante, un solo unico momento, cichiederemo come mai.

La risposta arriverà immediata; perché abbiamo fermato i fattori inquinanti.

Abbiamo messo a terra gli aerei, abbiamo chiuso le fabbriche, abbiamo costretto le persone a stare in casa riducendo al minimo l’uso delle vetture.

La Cina dopo anni di inquinamento pesantissimo si ritrova per la prima volta tutti i dati di rilevamento sotto i limiti imposti dalle autorità di controllo, un miracolo fin a poco fa solo sognato da un miliardo e oltre di esseri umani che già prima del Covid-19 erano costretti dall’inquinamento a vivere con la mascherina su naso e bocca.

Rifletteremo sul modello di sviluppo capitalistico e ci accorgeremo che non è compatibile con l’ambiente.

Penseremo alle nostre paure dell’altro, un altro indefinito ed indefinibile che noi chiamiamo straniero.
Rivedremo le nostre posizioni sulle migrazioni perché finalmente un virus che non rispetta confini ci ha fatto comprendere chiaramente che i confini sono gabbie inutili oltre che intollerabili.

La solidarietà avuta da Paesi che abbiamo sempre considerato con fastidio ci avrà fatto comprendere come sia facile trovarsi da un momento all’altro dall’altra parte del bisogno: da donatori refrattari a voraci richiedenti aiuto.

Le teorie nazionalistiche, sovraniste ci appariranno per quello che sono, al più delle pie illusioni di difesa di privilegi acquisiti a scapito di altri.

Nelle nostre tasche rimarranno le solite differenze, tra chi ha potuto difendere il proprio reddito e chi lo ha
perso. Tra chi ha ridotto il lavoro, chiuso le attività produttive, tra chi il lavoro lo ha perso completamente e
chi lo ha visto decurtato di una parte consistente del reddito. E chi ha speculato sulla crisi, chi si è ancor più
arricchito aumentando i prezzi a dismisura dei prodotti legati alle necessità congiunturali. Chi ha investito in borsa allo scoperto sull’aggravarsi dell’epidemia.

Ancora una volta non sarà per tutti uguale il danno. Anche su questo faremo le nostre considerazioni, penseremo a quanto siano urgenti riforme che tutelino il lavoro, che impediscano le speculazioni.

Ripenseremo al sistema di operatività della grande finanza e ci chiederemo se non sia impellente un freno alla capitalizzazione delle rendite finanziarie.

Quando tutto questo sarà finito, perché finirà, ci troveremo a pensarci finalmente migliori, finalmente liberi
da schemi e sovrastrutture pseudoculturali che ci hanno condizionato fino ad ora. Da quando qualcuno, a
reti unificate, ci comunicherà che l’emergenza è finita, per 12, forse 24 ore penseremo tutto ciò. Poi,
tragicamente, inesorabilmente, torneremo a fare quello che facevamo prima. Lo faremo anzi con maggior
lena perché sentiremo di essere stati defraudati di qualcosa che ci apparteneva e che il nostro compito sarà quello di ‘ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost’ come tanti Genny Savastano.

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