Editoriale

Dove nasce la paura

Ogni cosa negativa, ogni esperienza distruttiva è basata sulla paura. Fin da quando siamo molto piccoli veniamo condizionati dall’aver paura e con questo finiamo per limitare noi stessi. Già nell’adolescenza abbiamo sviluppato diversi modelli di pensiero e di credenze. La maggior parte delle nostre vite è vissuta credendo alla mancanza, alla paura e alla limitazione personale. Se ci concentriamo continuamente sulla mancanza, saremo sempre in un abbondante stato di mancanza.

Abbiamo creduto di esorcizzare la paura per le nostre debolezze strutturali, pubbliche e private, trovando nell’altro, un altro indefinito se non nella sua più generica definizione di “straniero”, il responsabile dei nostri fallimenti, delle nostre mancanze. Ci siamo autoflagellati dipingendoci come vittime di una inesistente invasione fino a fare delle nostre paure la realizzazione di una profezia.

La profezia che si auto-avvera è uno dei fenomeni più noti e più studiati in psicologia sociale. Il sociologo Merton ne parlò per la prima volta negli anni ‘70, ed è stata anche riprodotta sperimentalmente a dimostrazione dell’influenza che esercitano le convinzioni sulla costruzione della realtà. Infatti, pensiamo agli effetti del martellamento della comunicazione di massa o all’effetto placebo, succede che chi subisce questo comportamento ottiene esattamente quello che vorrebbe si verificasse, a conferma della grande potenza della suggestionabilità umana.

Abbiamo seguito i profeti di sventura come si segue il pifferaio magico. Come in trance, per anni, un intero Paese ha voluto credere all’untore di manzoniana memoria fino ad arrivare al momento catartico nel quale gli untori siamo noi. E allora scatta automatico l’altro placebo italico, la lamentela. Abbiamo iniziato a lamentarci delle limitazioni che altri Paesi hanno messo ai nostri spostamenti. I diritti negati agli altri diventano insopportabili se negati a noi. “Siamo stati respinti come pacchi postali” si è sentito dire dai turisti rimandati in patria dalle Seychelles. Straordinaria catarsi del nordico italico che si vede trattare come un migrante clandestino qualsiasi. Che cosa magnifica la vita, da e toglie in egual misura, basta sapere attendere.

A ben vedere siamo stati vittime delle nostre stesse fobie. Ci siamo trovati a reagire sopra le righe con gli stessi meccanismi con i quali abbiamo tentato vanamente di opporci all’arrivo dei migranti. Vediamo adesso crollarci addosso quel castello di granitiche certezze che ha fatto da puntello alla nostra traballante identità di Paese e di popolo. La grande illusione di una supposta superiorità svanisce come neve al sole. Si soglie lasciandoci nella pozzanghera della nostra mediocrità.

Il vuoto, l’inconsistenza di certe idee strambe e malsane viene a palesarsi attraverso momenti di involontaria comicità. La mascherina che deve servire a proteggere chi infetto non è, viene indossata con fare grottesco in mondovisione da un uomo che mostra in questo gesto tutta la sua mediocrità. Un politico, un amministratore che nel pallore del volto, nello sguardo perso in un momento di debolezza mostra tutta la vacuità di certe idee, il vuoto morale e ideologico di chi ha costruito la propria fortuna politica sulla paura dell’altro fino a trovarsene travolto nell’isolamento autoimposto. Adesso l’altro è lui.

Il presidente che, ignaro di essere a capo di una regione che ha fatto dell’uso dei topi in tempi di carestia la propria fonte di sopravvivenza, si lancia in una reprimenda dei comportamenti altrui sbagliata nei modi, nei tempi e nell’etica è lo specchio di quanto siano di argilla i piedi del gigante. Uno dei Paesi del G7 scopre all’improvviso cosa significhi allontanarsi dalla cultura, puntare tutto sull’economia, sulla crescita. Alla prima occasione nella quale serve una visione di popolo, una solidità di intenti e la lucidità per affrontare razionalmente un problema complesso, il popolo italiano scopre la sua inadeguatezza culturale prima ancora che strutturale. Ci mancano le basi culturali sulle quali poggiare i nostri atteggiamenti, le nostre decisioni, i nostri comportamenti quotidiani. E ci scopriamo piccoli, la protervia che copriva il nulla ci lascia nudi di fronte ad una realtà che non comprendiamo e che ci fa paura oltre la stessa pericolosità del virus. In altri tempi abbiamo saputo imparare la lezione e siamo ripartiti. Questa volta sarà più difficile perché a franare sono le basi stesse del nostro vivere civile, quel quadro di riferimento valoriale eroso da decenni di gretto nichilismo.

https://www.youtube.com/watch?v=ZK2n5vf8OkU

 

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