Ambiente

Non esistono più i mezzi movimenti

Archiviata la manifestazione mondiale di venerdi 27 settembre rimane invariato l’interesse verso la persona di Greta un’ondata di critiche e di insulti non sembra arrestarsi neppure di fronte agli indubbi successi dalla sua iniziativa. A questi odiatori seriali della povera ragazza basterebbe porre due domande. La prima è se ritengono che ci sia un problema determinato dal cambiamento eccessivamente repentino delle condizioni climatiche. Se la risposta è affermativa che ci sia una persona quale che sia che si occupa di portare questo problema all’attenzione di tutti, opinione pubblica mondiale e governi è, comunque , un fatto positivo. La seconda domanda riguarda il ruolo dei giovani. Chiederei loro se ritengono se sia positivo o no il fatto che centinaia di migliaia di ragazzi da sempre accusati di qualunquismo si occupino a vario titolo di un argomento così importante e politicamente corretto come l’ecologia. Anche in questo caso che sia una ragazzina svedese a rianimare le ormai da tempo silenti coscienze dei nostri ragazzi non dovrebbe fare differenza. Ma tant’é tra chi nega il problema e chi ne vuol vedere per forza una speculazione politica ed economica il fronte negazionista sarà sempre ben presidiato.

Sarebbe invece importante ragionare intorno alla crisi della “governance climatica” che è ciò che ha innescato questa mobilitazione. Tutto parte dal fallimento del Protocollo di Kyoto. La promessa era il calo delle emissioni ed il contenimento dell’aumento della temperatura media sotto i 1,5° entro il 2020. Questo risultato sarebbe stato conseguito, secondo le previsioni, da un aumento dei profitti nei settori “verdi”. Nonostante il sostanziale fallimenti di quei propositi e gli anni persi l’Accordo di Parigi rilanciò la stessa scommessa. Fuori tempo massimo, però. Il fronte negazionista guidato da Trump ha avuto la meglio riportando al centro del dibattito i temi dello sviluppo e degli interessi delle grandi corporation economico finanziarie. E’ ormai evidente che il treno della possibile svolta ecologista globale lo abbiamo perso con la disputa della Florida quando il 7 novembre del 2000 la Corte Suprema di quello stato decretò la vittoria di George W Bush su Al Gore nella corsa alla presidenza degli USA. Sappiamo come è andata. L’11 settembre dell’anno successivo l’attentato alle torri gemelle aprì la strada ad un periodo di stravolgimenti politici e strategici che portò alle guerre in Iraq e Afghanistan delle quali ancora subiamo gli effetti. Parallelamente a ciò la dirigenza Usa si è schierata, nelle conferenze sul clima, per il mantenimento dello status quo. Nessuno può sapere quale sarebbe stata la reazione di Al Gore all’attentato e quanto del sentimento ambientalista espresso nel proseguimento della sua attività politica successiva alla sconfitta elettorale sarebbe entrata nei programmi della sua presidenza. Certamente una qualche differenza di atteggiamento nei confronti di entrambi i tempi sarebbe stato ragionevole aspettarselo.

A questo punto il tema si sposta sulla rappresentanza politica di questo immenso anche se fragile movimento. Sia in Italia che nel resto del mondo assistiamo ad un fronte che si divide grossolanamente in due componenti. Da una parte Greta che si fa paladina del ritiro della delega in bianco da parte del ceto medio globale alle classi dirigenti. Questo movimento propone un triplice messaggio: delegittimazione delle élites, inversione del rapporto tra economia ed ecologia, incitamento all’azione diretta. Si tratta di un messaggio dirompente. Un messaggio che in Italia e nel mondo è stato rilanciato dai Fridays for future.

La seconda componente è rappresentata da una composizione sociale variegata il cui collante sono comitati locali molto legati a questioni specifiche come le opposizioni alle grandi opere. In Italia questi comitati sono stati rappresentati recentemente dal M5S. La propaganda ambientalista del Movimento si è tradotta in una confusa ricerca di un equilibrio decrescitista che ha catturato la sensibilità ambientalista incarnata dagli oppositori a industria e infrastrutture e che voleva assecondare le richieste dei comitati No Tav, No Tap, No Ilva, No inceneritori e altri. Una volta al governo, però, il M5s ha deluso le aspettative nell’impossibilità di fermare le opere o di arrestare le industrie come promesso come si è visto a Taranto, con il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, che ha consegnato l’acciaieria Ilva al colosso europeo Arcelor Mittal consentendo un aumento della produzione, e quindi delle emissioni, senza imporre correttivi immediati all’inquinamento.

In Italia e nel resto d’Europa (con la sola eccezione della Germania dove il partito verde nelle ultime elezioni è riuscito ad intercettare i voti in uscita dalla SPD)le istanze ecologiste stentano a trovare accoglienza nei partiti della sinistra storica mentre non si vedono all’orizzonte movimenti che possano strutturarsi in una proposta politica che coniughi le istanze ambientali con una critica e relative proposte di riforma del modello di sviluppo capitalistico.

Non è estraneo a questa difficoltà il fatto che il popolo non è incline a modificare i suoi comportamenti. L’inverno scorso, per esempio, il movimento dei “gilet gialli” in Francia è nato dai pendolari delle periferie in protesta contro il rincaro del carburante usato per finanziare iniziative di mobilità sostenibile e venire incontro agli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima. Questo movimento ha costretto il presidente francese Emmanuel Macron, con la richiesta delle sue dimissioni, a rinunciare al provvedimento eco-friendly. Non sembra ci sia la volontà da parte dei politici di richiedere alla classe media di sottrarre porzioni di reddito per destinarle a rivoluzionare le proprie abitudini di consumo energetico come le drammatiche condizioni dell’ambiente richiederebbe.

E’ un circolo vizioso dal quale sembra impossibile uscire. Il disinteresse del presidente Usa ad un qualsiasi accordo sul clima è l’emblema di una difficoltà ad affrontare la questione che è comune a più paesi e a più classi dirigenti. C’è da sperare o che i climatologi abbiano sbagliato clamorosamente le previsioni o che il movimento messo in moto da Greta Thunberg stravolga definitivamente gli assetti politici imponendo dal basso un cambiamento di prospettiva e di paradigma che in questo momento le classi politiche globali non riescono ad attivare.

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