Ambiente

Condannati a surriscaldarci

Il 12 dicembre del 2015 si è svolta a Parigi la Conferenza sul clima. Già allora gli scienziati di tutto il mondo avevano suonato l’allarme sulle condizioni climatiche del pianeta. Al termine di un’estenuante trattativa si arrivò ad un accordo . Nel testo redatto al termine dei lavori si scrisse che “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta”. Richiede pertanto “la massima cooperazione di tutti i Paesi” con l’obiettivo di “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”.

Dolce alle fragole– aumento della temperatura entro i 2° sforzandosi di fermarsi a +1,5°. Per centrare l’obiettivo, le emissioni devono cominciare a calare dal 2020.

– consenso globale, oltre all’Europa, anche la Cina, l’India e gli Stati Uniti si sono impegnati a tagliare le emissioni.

– controlli periodici. Il testo prevede un processo di revisione degli obiettivi che dovrà svolgersi ogni cinque anni – fondi per l’energia pulita. I paesi di vecchia industrializzazione erogheranno cento miliardi all’anno (dal 2020) per diffondere in tutto il mondo le tecnologie verdi e decarbonizzare l’economia.

– rimborsi ai Paesi più esposti per compensare le perdite finanziarie causate dai cambiamenti climatici nei paesi più vulnerabili geograficamente.

Al termine della conferenza, le organizzazioni ambientaliste protestarono ritenendo questi provvedimenti non sufficienti. Ad oggi gran parte di quanto deciso a Parigi è stato disatteso. Tutto questo ha portato ad un unico deprimente risultato: gli ultimi quattro anni sono stati i più caldi della storia. La concentrazione di anidride carbonica (C02) nell’atmosfera terrestre è la più elevata raggiunta negli ultimi tre milioni di anni. Le emissioni complessive di gas serra hanno ripreso ad aumentare.

La temperatura media del pianeta è aumentata di più di un grado Celsius rispetto ai livelli preindustriali e sale di 0,2 gradi ogni decennio. Con questo livello di inquinamento i danni all’ecosistema e alla stessa qualità della vita di milioni di persone sarà presto evidente e irreversibile.

Con l’innalzamento dei mari 10 milioni di persone sarebbero a rischio a causa di maree, allagamento ed altri fenomeni simili. Il permafrost, cioè la lo spessore di terra rimasta perennemente congelata al di sotto dei ghiacci e ora in progressiva scopertura e scongelamento, passerebbe da 1,5 milioni di chilometri quadrati a 2,5 milioni (aumentando l’uscita di gas metano, che salirebbe in atmosfera causando effetti da 23 a 84 volte peggiori di quelli determinati dalla C02).

Quattrocentoventi milioni di persone sarebbero esposti a ondate di calore estremo. Le barrire coralline attualmente “sbiancate” tra il 70 e il 90 % a seconda delle zone, sparirebbero al 99%. La sparizione delle specie di insetti passerebbe da 6 al 18%, quella delle piante dall’8 al 16%, quella degli invertebrati da 4 all’8 %. In Italia, l’ISPRA ha reso noto che il 2018 è stato l’anno più caldo degli ultimi due secoli e che la temperatura è aumentata del 1,77% rispetto al periodo 1961-1990 e che le emissioni di gas serra sono aumentate dello 0,4% (dovuto per l’1,7 % ai trasporti, per il 3,1% ai trasporti su strada, per l’1% al riscaldamento nell’edilizia), mentre cala dell’1% l’impiego dell’energia a causa di una minore utilizzazione delle centrali termoelettriche.

Questa situazione lungi dal preoccupare i governanti ha però provocato un movimento trans-nazionale partito dall’attivismo dell’ormai famosissima Greta Thunberg che ha portato alla mobilitazione del 15 marzo scorso quando sono scesi in piazza in molte città europee e non solo centinaia di migliaia di persone.
L’attacco becero subito sul web e sulla stampa da Greta oltre a dire molto sul livello raggiunto dal dibattito politico mi ricorda il vecchio detto secondo il quale “il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito”. Ovviamente Greta Thunberg ha avuto bisogno di sostegno organizzativo e di una buona campagna di comunicazione per arrivare ai livelli di coinvolgimento delle masse quale si è prodotto dopo le sue prime spontanee uscite. Questo fatto nulla toglie però al senso della battaglia messa in campo.

Manifestazioni come non se ne vedevano da tempo che hanno messo insieme la spontaneità degli studenti ai movimenti contro le grandi opere e le devastazioni ambientali, un movimento che sembra mettere in discussione il modello di sviluppo attuale basato sulla devastazione e il consumo indiscriminato del territorio. E’ stata una straordinaria iniziativa partecipata da forze eterogenee che attraverso questa ampia mobilitazione hanno trovato uno spazio comune dove esprimere la propria opposizione.

La radicalità dei contenuti che emerge da tutte queste iniziative per l’ambiente difficilmente troverà una dimensione ed uno spazio comune. Troppe sono le differenze tra le varie anime di questo embrione di movimento ambientalista. Si tratta più di una serie di conflittualità sociali disseminate in tutto il Paese, che hanno espresso in piazza il disagio verso questo modello di civiltà e di sviluppo che vede la crescita indiscriminata come unico obiettivo. La difesa del clima potrebbe diventare la questione politica che unisce tutte queste differenti esperienze, la cornice comune per la ricomposizione di conflitti e lotte che spesso rischiano di trovarsi frammentate tra loro.

In Italia mancano leader come Katharina Schulze e Ludwig Hartmann, i due leader dei Verdi in Baviera capaci di guidare un partito ecologista verso responsabilità di governo. Inoltre l’argomento ecologia è quasi totalmente assente nei partiti tradizionali. Questa è certamente una debolezza così come lo è la frammentarietà delle posizioni e lo spontaneismo caratteristico di queste iniziative. Ma è un primo passo, un risvegliare le coscienze, uno squillo di tromba. Che sia sufficiente a smuovere l’arroganza dei governi che non ascoltano le ragioni del pianeta si vedrà, per ora rimane la sensazione che comunque qualcosa si è mosso.

PH: Paolo Cipriani

 

 

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