Editoriale

Immigrazione, libro cuore a Caserta

Nella presentazione di questa rubrica, avevamo scritto che avremmo privilegiato il racconto di buone pratiche, di esempi virtuosi da contrapporre alla sequela di provvedimenti, intemerate, insulti e tutto l’armamentario di inciviltà che questo governo ci sta proponendo. La storia di Mamadou Kouassi, dello Sprar di Caserta e della comunità/ammnistrazione cittadina è uno di questi.

Se Mamadou Kouassi fosse arrivato oggi in Italia, non avrebbe potuto ottenere i benefici della protezione umanitaria. Questo tipo di permesso è stato abrogato dal decreto sicurezza e immigrazione in vigore dal 4 ottobre 2018.

Mamadou Kouassi ha 36 anni e viene dalla Costa d’Avorio, dove faceva il bracciante. Lavora per anni nei campi di pomodoro in Puglia, negli aranceti di Rosarno e infine nelle distese di tabacco del casertano. Condizioni di vita e di lavoro tremende, paga da fame.

Oggi Mamadou Kouassi è un mediatore culturale allo Sprar di Caserta ma non solo. E’ anche il portavoce del Movimento dei migranti e dei rifugiati della città e insegnante di inglese e francese nelle scuole elementari. Un passo avanti enorme rispetto alla precarietà rappresentata dal trovarsi clandestino in terra straniera. Nel 2017 il comune di Caserta ha voluto destinare a lui i 170mila euro dell’annuale premio riservato a persone ed enti meritevoli. E qui succede qualcosa che ribalta completamente i termini di analisi del fenomeno migratorio. Mentre il migrante viene visto come un usurpatore di risorse altrimenti riservate agli italiani, Mamadou Kouassi propone di devolvere parte del premio per finanziare i buoni libro per le famiglie più bisognose della città. Non prima gli italiani ma prima chi ha bisogno, italiani compresi.

“Avevamo saputo che alcune famiglie erano in grave difficoltà, non potevano comprare i libri di testo perché da due anni il comune non erogava i fondi destinati ai sussidi”, racconta Kouassi. “Abbiamo pensato che una parte del premio poteva essere usata per aiutare le famiglie in difficoltà”.

L’idea genera un movimento al quale si uniscono 120 tra insegnati e presidi e in seguito alle pressioni esercitate da questa iniziativa il sindaco di Caserta decide di sbloccare dei fondi che andranno ad aggiungersi al denaro devoluto per volontà di Mamadou Kouassi. Un circolo virtuoso di iniziative che fa leva sui bisogni e non sulle prese di posizione pregiudiziali ed ideologiche. Questo episodio non nasce per caso, è figlio di una scelta ben precisa della comunità locale nel suo insieme. Da anni, a Caserta, si sperimenta un nuovo modello di accoglienza con l’obiettivo di creare condizioni di inclusione sociale e di lotta al razzismo. Oltre all’attività dello Sprar, che garantisce l’accoglienza in appartamenti, gestisce un programma di insegnamento della lingua italiana oltre a corsi di formazione e i tirocini per i richiedenti asilo, è stato lanciato anche un piano di inclusione sociale che fa capo al comitato “Città viva”, un’organizzazione che opera nel territorio da oltre 10 anni e che coinvolge sia le famiglie locali sia i richiedenti asilo, le associazioni e le istituzioni. Si tratta di una sinergia tra vari soggetti pubblici e privati al fine di trasformare quello che potenzialmente può rappresentare un problema in un elemento di sviluppo e di condivisione.

I danni provocati dal cosiddetto “Decreto sicurezza” si cominciano a vedere. Sempre più stranieri perdono i loro diritti acquisiti, lo staus di rifugiati, la partecipazione a progetti di inclusione ecc. rimanendo comunque in Italia. Questo significa che sempre più persone sono a rischio marginalità e, conseguentemente, possibili prede della criminalità organizzata. Il risultato di questa politica miope e disumana è l’allarme che viene anche da sindaci della Lega e del M5S alcuni dei quali, pur non aderendo formalmente al movimento dei sindaci che ha sospeso in tutto o in parte l’applicazione del decreto, hanno di fatto preso le distanze dallo stesso. L’unica risposta che il governo riesce a dare a questo problema sono i continui sgomberi di edifici che fungono da ricovero fatiscente e provvisorio per queste persone che, abbandonati questi luoghi, non fanno altro che spostarsi di qualche centinaio di metri e trova e altri, se possibile, più infimi ricoveri dove ripararsi in un continuo rincorrersi tra forze dell’ordine e migranti. E nel frattempo in Mediterraneo si continua a morire. I porti sono tutt’altro che chiusi, non lo sono mai stati, centinaia di persone approdano sulle nostre coste a dispetto dei proclami del cowboy inquilino del Viminale. Quando finirà tutto questo? Quando tutti noi capiremo che oltre ad andare contro il diritto internazionale questa politica non rende migliore la nostra vita. Quando una legge oltre che essere criminale è anche inutile se non controproducente i proclami non bastano più. Ancora una volta questo significa però che in questo Paese per tornare a ragionare bisogna toccare il fondo, sperando che non sia vero il detto romano che dice che al peggio non c’è mai fine.

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