Mondo

Sud Sudan, silenzio si uccide

 

Il mondo dell’informazione continua a dare pessima prova della sua capacità di analisi delle crisi internazionali. L’ultimo esempio è la situazione in Sud Sudan. Il rapporto annuale di Italians for Darfur, illustrato recentemente in Commissione diritti umani al Senato, rileva la ripresa da agosto 2016 della guerra civile in Sud Sudan, con oltre 2 milioni e 200 mila sfollati e metà della popolazione, circa 7 milioni e mezzo, dipendente dagli aiuti umanitari. Senza contare i bombardamenti sui Monti Nuba e nello Stato del Blu Nile, e i nuovi fronti di conflitto che hanno caratterizzato l’ultimo anno di instabilità nei due stati ‘fratelli’ a cavallo del Nilo. Ciò nonostante l’informazione tutta continua ad ignorare questa situazione. Unico momento di visibilità è stata concessa a questo martoriato Paese in via indiretta quando Papa Francesco, parlando all’Angelus, aveva ricordato per l’ennesima volta la tragedia umanitaria del Sud Sudan. Dopo quel giorno nessuno ne ha più parlato, nonostante oltre venti milioni di persone siano a rischio di genocidio da parte di coloro che hanno interessi nell’area.

Il Sud Sudan è entrato ormai in una spirale di violenza che appare sempre più senza ritorno. La carestia sta costringendo alla fame sempre più persone, la guerra civile che vede contrapporsi gli onnipresenti “signori della guerra” li spinge verso l’esodo. In queste condizioni diventa difficile anche districarsi tra le tante fazioni in conflitto in quella che sembra ormai una lotta del “tutti contro tutti”.

Dalla metà di febbraio, nel sud-ovest, nell’area del “Western Equatoria” e nella sua capitale Yei, si succedono stragi e massacri di civili. Sono persone costrette dalla siccità ad andare a chilometri di distanza dal loro villaggio a prendere l’acqua, senza nessuna certezza di tornare a casa vive. Da alcuni mesi molte ONG tra le quali anche i missionari comboniani della zona di Kajo Keji hanno dovuto abbandonare l’area per rifugiarsi nel nord dell’Uganda a seguito anche dell’uccisione di sei volontari di una ONG che lavora nel salvataggio e recupero di bambini-soldato in una zona periferica controllata dai soldati governativi.

Sempre il report di Italians for Darfur parla di “Cristiani perseguitati, studenti uccisi e libertà della stampa negata. Da gennaio 2016 la guerra ha provocato finora oltre 300mila morti e due milioni e 700 mila profughi. Picchi di violenze si sono verificati in tutto il Sudan mentre continuano a registrarsi atti di persecuzione contro i cristiani e gli oppositori”.

Le stesse cose succedono ormai in tutte le zone del Sud Sudan, mentre si susseguono i cambi di Governatori che vengono continuamente sostituiti con uomini più vicini al regime. La corruzione nel personale politico e militare è tale che per denaro siano tutti disposti a cambiare bandiera in ogni momento. L’Unione Africana, preoccupata del fatto che il conflitto possa estendersi, ha chiesto al Kenya di non ritirare le sue truppe di interdizione, mentre il governo ha chiesto alla missione UNMISS di sospendere l’invio di altre truppe occidentali non gradite a molte fazioni e che potrebbero ingenerare ulteriori motivi di conflitto. Nonostante la cacciata di Riek Machar (il vice presidente ribelle), il suo esercito (SPLM-IO)continua ad operare nella zona sotto il comando di Taban Deng, anche se questi sembra stia tentando di far rientrare tutti sotto un’unica bandiera, l’SPLM, che dovrebbe, alla fine, essere il solo esercito del Sud Sudan.

Il pericolo, assolutamente oggettivo, è che si stia creando un’alleanza strategica per spartirsi il Sud Sudan, lasciando al popolo la fame e la povertà, e magari anche la siccità di questo terribile anno, e spartendosi i soldi del petrolio del nord, nonché quelli dei paesi occidentali che continuano imperterriti a proporre soluzioni pacifiche di giorno, consegnando nuove armi la notte. Il tutto con buona pace del silente mondo dell’informazione internazionale.

 

 

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