Cultura

Matvejevic? Un pezzo di pane

Spesso capita che si parli di qualcuno più da morto che da vivo. In questi giorni sembra essere questo il caso dello scrittore Predrag Matvejevic, deceduto la scorsa settimana e del quale si sono letti nei giorni scorsi arguti “coccodrilli” nelle terze pagine dei quotidiani. Qualche accenno anche nei post sui social.

In vita fu apprezzato in ambienti intellettuali ma ignorato da quella politica che doveva decidere sulla sorte della ex Jugoslavia e che lo fece nella maniera più tragica possibile. Predrag Matvejevic che è stato professore ordinario di Slavistica all’Università la Sapienza di Roma e consulente sul Mediterraneo per il gruppo dei Saggi della Commissione Europea, scrisse, parlò, insegnò la pace partendo da un punto di vista originale: la condivisione tra le diverse culture del Mediterraneo con l’obiettivo di far crescere la conoscenza, far circolare idee, ridurre lo spazio a pregiudizi e luoghi comuni. Con una convinzione, che i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo misurano il loro sviluppo dentro un nuovo sistema di relazioni territoriali, fatto sì di scambi economici e di merci ma, soprattutto, di circolazione di persone e intrecci di culture. Non a caso il suo più importante contributo letterario si intitola “Breviario Mediterraneo”.

Un libro che rappresenta il più coerente vademecum valoriale e culturale dell’autore. Scritto con una prosa secca e tagliente, racconta la vita quotidiana e reale di questa parte di mondo che è stata la culla della civiltà occidentale. Un caleidoscopio di immagini, significati, evocazioni, testimonianze. Un testo visionario come visionario è sempre stato l’immaginario culturale di Predrag Matvejevic. Ebbi la fortuna di trovarmi al Palazzo Ducale di Genova nel 2009 per una semplice visita turistica ed entrai casualmente in una delle sale conferenza dove stavano presentando proprio Predrag Matvejevic che io al tempo non conoscevo. Fui attratto dalla sua narrazione, dal linguaggio al tempo stesso semplice e pieno di sfumature.

L’attualità del messaggio di Predrag Matvejevic è sotto gli occhi di tutti. Il Mediterraneo che è stato per millenni la culla della civiltà ne sta diventando la tomba. Abbiamo perso il senso della vita e lo abbiamo cominciato a fare da quando abbiamo permesso che i Balcani ci riproponessero tutti i temi che credevamo aver archiviato con le due grandi guerre del “secolo breve”.

Uscivamo dalla guerra del Golfo quando si sviluppò la guerra della Jugoslavia. Un conflitto inter-etnico e di potere che devastò l’area dei Balcani. La guerra portò all’indipendenza dalla Repubblica Federale di Jugoslavia la Slovenia e la Croazia. La modalità ed i tempi che portarono al riconoscimento da parte della comunità internazionale di queste due nuove entità statuali (anche se non esclusivamente per la pressione di Helmut Kohl e di Karol Wojtyla) fu il primo grande errore che sarà pagato dai cittadini di Sarajevo a carissimo prezzo.

Le truppe serbe accerchiarono la città ed iniziò il più lungo assedio nella storia bellica moderna, protrattosi dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996 . Durante i quattro anni di durata, l’assedio fu interrotto solamente per una giornata, tra l’11 e il 12 dicembre 1992, da un gruppo di 500 pacifisti, partiti dall’Italia assieme a don Tonino Bello, e coordinati dall’associazione padovana Beati costruttori di pace. Un secondo tentativo di rompere l’assedio, nell’agosto del 1993, da parte degli stessi organizzatori non ebbe successo.

L’Italia fu tra le protagoniste di questa tragedia. Gli aerei italiani furono inviati in missioni di bombardamento. Le basi italiane furono utilizzate dall’aviazione delle altre nazioni partecipanti. Vennero colpiti obiettivi civili, distrutte fabbriche e disperse tonnellate di veleni di industrie chimiche. Centinaia di soldati si sarebbero, negli anni, ammalati a causa del contatto con l’uranio impoverito contenuto nelle bombe.

I bombardamenti, senza alcuna copertura Onu, furono autorizzati da un governo guidato dall’ex dirigente comunista Massimo D’Alema che durante la Guerra del Golfo viceversa partecipava ai cortei pacifisti. Il 1993 fu un anno di forte crisi di identità sia a sinistra che nel movimento pacifista che consumò definitivamente lo strappo con un passato di collateralismo politico.

Non voglio qui ripercorrere la storia di questo terribile conflitto. Non sono uno storico e non potrei dire nulla di originale o nuovo sull’argomento. Vorrei qui ricordare però, proprio nel nome di Predrag Matvejevic, alcune persone che non hanno voluto piegarsi alla logica della guerra e che hanno pagato questa loro determinazione anche a costo della vita.

In quegli anni videro la luce iniziative in loco per volontà di gruppi non violenti e del movimento pacifista. In tali azioni sono morti diversi pacifisti, come Fabio Moreni, Sergio Lana, Gabriele Moreno Locatelli. Quest’ultimo in particolare, entrato nell’associazione pacifista Beati i costruttori di pace, si era recato a Sarajevo la cui vita civile era completamente paralizzata a causa della presenza di cecchini che sparavano su chiunque fosse a tiro, allo scopo di manifestare a favore di una soluzione pacifica della guerra civile fra etnie bosniache e serbe.

Gabriele aveva partecipato alle due marce per la pace promosse dai Beati costruttori di pace nel dicembre 1992 e nell’agosto 1993. Il 3 ottobre 1993, con altri quattro pacifisti (Luigi Ceccato, padre Angelo Cavagna, Pier Luigi Ontanetti e Luca Berti), organizzatori a Sarajevo del progetto “Si vive una sola Pace” stava attraversando il ponte Vrbanja sul torrente Miljacka, che divide la città. Un’azione simbolica rivolta alle due parti in conflitto. La loro intenzione era quella di deporre una corona di fiori sul luogo dove ci fu la prima vittima di quella guerra (Suada Dilberović una giovane ragazza che fu uccisa nell’aprile 1992 durante le prime manifestazioni per la pace a Sarajevo).

Era loro intenzione offrire del pane sia ai soldati bosniaci che a quelli serbi, che si fronteggiavano dalle sponde opposte del ponte. Nonostante di questa manifestazione fossero state avvisate le milizie in conflitto, sul ponte venne raggiunto dai colpi di un cecchino. Questo avvenne, oltre tutto, quando assieme ai suoi compagni stava già ritornando sui suoi passi a seguito di alcune mitragliate di avvertimento. Morì dopo due interventi chirurgici e atroci sofferenza. Le sue ultime parole furono «Stanno tutti bene?» riferendosi ai suoi compagni sul ponte.

Il Mediterraneo di Predrag Matvejevic un ponte tra le civiltà. I ponti sui fiumi di Bosnia il simbolo di una divisione incolmabile. Attraversarli in segno di pace evidentemente era un grido di umanità troppo alto per essere sopportato da chi scelse la guerra come unica opzione.

Roberto Pergameno

 

 

 

 

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