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In ginocchio davanti alla curva

Mentre la Juventus di Massimiliano Allegri si prepara a difendere il gol di vantaggio sul Monaco (Vidal su rigore allo Juventus Stadium) nella insidiosa trasferta di Montecarlo, le potenze calcistiche (ed economiche) di Bayern e Barcellona hanno già raggiunto la semifinale di Champions League, divertendosi e divertendo il loro pubblico in festa. Oltre 150mila spettatori entusiasti (circa 70mila a Monaco di Baviera e quasi 85mila nella città più importante della Catalogna) hanno applaudito le gesta di Iniesta e Neymar, Müller e Lewandowski ma anche – in parte – del nostro Verratti e di quel Rafinha che ha lasciato l’Italia dopo una sola stagione nel Genoa (2010-2011) impreziosita dal gol-vittoria nel derby contro la Sampdoria.

Così mentre da noi Luis Enrique (centrocampista di qualità col fiuto del gol negli anni ‘90 con Real Madrid e Barcellona) continua ad essere ricordato più per la gomitata ricevuta dal romano Tassotti (squalificato per otto giornate grazie alla prova tv) nei minuti finali di Italia-Spagna (durante i Mondiali del 1994) che per aver allenato la Roma (stagione 2011-2012), col Barcellona da tecnico ha fatto meglio di Herrera e Guardiola ottenendo la vittoria numero 42 nelle prime 50 panchine blaugrana (3 pareggi e 5 sconfitte). Nessuno nella storia della gloriosa società spagnola è andato così bene in avvio, proprio poche ore dopo l’ennesimo pareggio all’Olimpico dei giallorossi del francese Rudi Garcia, contro una non irresistibile Atalanta.

In Italia invece continuiamo a dibattere e lamentarci della scarsa qualità tecnica delle nostre rose messe a disposizione di grandi tecnici, emersa anche in occasione del recente derby milanese. Anche se ti chiami Lucas Biglia o Lukas Podolski (campione del mondo con la Germania e autore di 49 reti con la maglia della Nazionale tedesca) e hai da poco giocato una finale mondiale, sono sufficienti due o tre partite sottotono da noi per il giudizio immediato e la panchina sicura. Gli interisti Shaqiri, Icardi, Palacio, lo stesso Podolski ed i milanisti Ménez, Destro, Honda, Pazzini, Bonaventura e Cerci, sono veramente così poco appetibili per un qualsiasi tecnico di massima serie? E Coutinho e Niang erano così scarsi per le milanesi?

Magari fosse questo il problema! Dopo Roma-Napoli siamo stati invece costretti a parlare prima degli striscioni in curva contro la madre di Ciro Esposito, poi di quelli al campo di allenamento contro il presidente James Pallotta. E dell’eventualità o meno del ricorso per la Sud chiusa, mentre l’allenatore Garcia invece di ragionare sui disastri del campo, ha parlato di “Giustizia ingiusta” per non poter contare appieno sull’apporto del pubblico. Poi però, quello stesso pubblico fa paura e frena le prestazioni casalinghe: così si giustificano ancora, tutti. Ma il problema del tifo violento non si risolve, anzi si allontana perché a volte fa anche comodo: dipende da che parte stai.

Continuiamo usando il presente, perché di questo si tratta. L’Atalanta va a rapporto dal capo ultrà con i calciatori sotto la tribuna, subito dopo l’allenamento interrotto prima del match casalingo con il Sassuolo. Per il club ed il suo allenatore “…Tutto questo è positivo, ci danno una grande carica”. A Varese la gara con l’Avellino deve essere posticipata per la devastazione dello stadio “Franco Ossola”: campo e porte a pezzi, le solite minacce. Fermiamoci, per ora, a Cagliari: Zeman lascia e dichiara: “L’assalto degli ultrà non c’entra”. Una trentina di tifosi aggredivano però qualche ora prima la squadra ad Assemini, prendendo a schiaffi alcuni calciatori con tanto di scritte minacciose sul cancello di ingresso. La domenica sera contro il Napoli, Daniele Conti andava in panchina con la fascia da capitano degli ultrà al braccio.

Si può allora ancora stare a discutere sui rapporti tra il tifo violento e le società di calcio, mentre in Inghilterra – una volta terra di conquista degli hooligans – il tifo bello che merita rispetto applaude ormai i propri beniamini fino all’ultimo secondo dell’ultima partita di campionato, senza barriere e nonostante l’imminente retrocessione? Siamo il paese degli alibi, dell’ipocrisia e dell’intolleranza verso i migranti che inseguono la speranza ma trovano la morte. Poi però siamo disposti a subire ogni giorno questa violenza, fisica e mentale, che non può e non deve mai essere tollerata. La politica si fa dal basso, iniziando a non accettare che il tuo vicino adoperi quella violenza. Si fa attraverso ogni singolo onesto e pulito gesto quotidiano.

Come quello libero compiuto dai giocatori del Bayern, spontaneamente in ginocchio davanti alla loro curva che li ha sempre sostenuti e incitati nonostante lo svantaggio iniziale. Così si può, così si deve fare. A Roma invece, ancora non hanno saputo reagire a quell’umiliazione sportiva: in fondo, l’entusiasmo del villaggio si è spento proprio lì. Senza la forza delle idee, la violenza è normale.

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