Attualità, Sport

Il crack dei presidenti di calcio

Apprendiamo dall’ANSA proprio qualche ora fa che il campione del mondo di Spagna ’82 Paolo Rossi aprirà a Perugia, dove si può “coniugare il calcio allo studio” vista la presenza dell’Università italiana e per Stranieri, una Scuola Calcio che porterà il suo nome. L’Academy è riservata ai giovani dai 16 ai 25 anni “con la voglia e la passione di imparare a giocare a calcio”. Pablito, così soprannominato da Enzo Bearzot, oggi fa l’opinionista di Sky Sport. Lui per l’occasione ha dichiarato: “Vorrei che i giovani vivessero la mia stessa favola”. Anche molti imprenditori che investono nel calcio, all’inizio pensano di vivere una favola che dà loro prestigio e notorietà.

Se Vasco Rossi lo canta e Paolo lo pensa e dice, sono tanti invece gli uomini d’affari che decidono di acquistare una società di calcio, per questioni che hanno poco a che vedere con le emozioni e la passione per il gioco più amato. Spesso, dicono è una questione di cuore, ma non sempre è così. Per farsi pubblicità o per altri motivi, vanno ben al di là delle loro reali possibilità di investimento, con il silenzio-assenso di qualche organo deputato a vigilare, salvo poi scoprire all’ultimo buchi di bilancio impressionanti che portano al fallimento. Ma che c’entra Paolo Rossi con i dissesti finanziari dei presidenti di calcio? Facciamo un passo indietro fino alla fine degli anni ’60.

L’imprenditore di origini contadine Giuseppe Farina detto ‘Giussy’ diventa nel 1968 il presidente del Lanerossi Vicenza, guidando la società per 12 anni e portando la squadra al secondo posto del calcio italiano nel 1978. Paolo Rossi gioca con il Vicenza dal 1976 al 1979, segnando 60 reti in 94 gare ufficiali. Nell’estate del ’78 però Giussy Farina commette un errore: alle buste risolve a suo favore la comproprietà di Pablito con la Juventus, scrivendo la cifra record per allora di 2.612 milioni di lire a fronte di un’offerta piuttosto bassa della società bianconera. Si crea così un grave buco nelle casse della società, che costringe il Presidente a lasciare la stessa al figlio Francesco nel gennaio del 1981.

L’anno successivo acquista il Milan da Felice Colombo all’indomani della retrocessione in B. I rossoneri sotto la guida tecnica di Ilario Castagner tornano subito in Serie A. Arrivano gli stranieri: il belga Gerets (1983-84) e gli inglesi Luther Blisset (flop), Mark Hateley (come non ricordare il gol di testa nel derby sovrastando Collovati) e Raimond Colin Wilkins (gran regista di centrocampo), con Nils Liedholm in panchina (1984-1987). Poi i nuovi dissesti finanziari, fino alla consegna della società nelle mani di Berlusconi (1986) ad un passo dal fallimento. Farina, pioniere del calcio crack, si è sempre difeso in nome di passione e umanità messe a servizio del calcio, che ad altri (da Berlusconi e Sacchi, al quale ha consegnato – in parte – una squadra vincente) evidentemente mancano.

E’ lunghissima la lista di società calcistiche dichiarate fallite e di presidenti poco assennati, non solo nelle gestioni amministrative ed economico-finanziarie. Da Gaucci a Cecchi Gori, passando per il fallimento di Fiorentina (2002), Napoli (2004) e Perugia (2005), prima della Lazio sull’orlo del baratro, poi Monte Paschi e il Siena, fino al Parma di oggi: quello di Tommaso Ghirardi, Pietro Doca, Fabio Giordano, Ermir Kodra, Giampietro Manenti, senza dimenticare i russi e l’albanese Rezart Taçi. Mentre Ghirardi è indagato per bancarotta fraudolenta, per ora invece Ferrero, che litiga con Zamparini per lo scippo del paraguayano Barreto, è solo un istrione.

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