Sport

La depressione di uno sportivo vincente

Più di una volta, mi sono recato al campo sportivo di Trigoria per assistere ad una delle tante gare giovanili della Roma di Totti e De Rossi, che fu un tempo anche di Agostino Di Bartolomei. I campioni di oggi soltanto pochi mesi fa erano lì davanti alla targa di intitolazione del nuovo campo di allenamento che porta il nome dello storico capitano giallorosso degli anni ’80. Insieme con la signora Marisa era presente il figlio Luca Di Bartolomei, impegnato in politica e già responsabile Sport del Partito Democratico, attualmente coordinatore nel settore delle Politiche di Sicurezza e Difesa.

Più di una volta, ho pensato alla loro vicenda umana. Agostino nasce a Roma l’8 aprile del 1955 e inizia a giocare a pallone nella zona di Tor Marancia, con la storica società O.M.I. Bompiani. E’ bravo, lo nota il Milan ma cresce calcisticamente e si afferma nell’A.S. Roma, giocando più di 300 gare (la metà da capitano) con la squadra della Capitale come centrocampista e difensore, segnando una cinquantina di gol in campionato. Una breve parentesi a Vicenza prima di finire la carriera passando per Milano, Cesena e Salerno. Neanche una presenza in Nazionale maggiore. A fine carriera la sua scuola calcio di Castellabate, poi il triste epilogo di quel 30 maggio 1994: un colpo di pistola inferto a se stesso.

Più di una volta, ho sentito la necessità di continuare a tenere un comportamento onesto e pulito nei confronti dei tanti ragazzi di settore giovanile che ho seguito, da educatore sportivo, istruttore, allenatore, ma prima ancora da essere umano. Nonostante le offese e gli sforzi dei grandi, dei navigati ed esperti operatori del pallone, direttori ignoranti e presuntuosi convinti di essere uomini soltanto per avere in mano i soldi e i destini delle giovani promesse mai mantenute, per colpa loro. Ho sentito spesso belle parole, sapendo che loro nel mentire stavano recitando la solita parte. Hanno quasi sempre fatto in modo che non esistessi, nel calcio. Ma ho sentito il dovere di resistere.

Più di una volta, ho prestato maggiore attenzione alle interviste dei colleghi più grandi e affermati di me, invece di soffermarmi sulle loro capacità tecniche o sulla vasta gamma di esercitazioni proposte. Leggere – in tutti i sensi – le parole di un allenatore, di uomini o ragazzi che siano, per me è sempre stato più importante. Agostino voleva infondere ai ragazzi la sua visione del mondo del pallone: un gioco pulito, nel rispetto delle regole e dell’etica. Una passione da coltivare e un gioco da amare, il calcio, restando lontani dai colleghi capricciosi cattivo esempio per i calciatori di domani. Ma, una volta ignorato e dimenticato, non ha saputo resistere.

Più di una volta, ho pensato di scrivere per affrontare il tema della depressione di uno sportivo vincente, che però terminata l’attività si sente chiuso nel suo buco, per usare l’ultima espressione di “Ago”. Poi ho sfogliato il solito quotidiano sportivo e non ci ho pensato più su. Della vicenda umana di Agostino hanno scritto in tanti, anche il figlio Luca. Lealtà, onestà, pulizia, rispetto delle regole e dell’avversario, generosità, esempio: tutto questo dovrebbe essere lo sport ed il calcio. <<Il pallone è il regno della lealtà umana esercitata all’aria aperta>> scriveva Gramsci in un tempo che appare lontanissimo e scrive oggi suo figlio Luca.

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