Diritti

Donne e immigrati sono quasi umani

Siamo tutti uguali? No. L’ingresso delle donne in magistratura in Italia risale al 1963, mentre tuttora in Italia un immigrato con regolare permesso di soggiorno non può partecipare ai concorsi pubblici. Nel ’63 la legge n. 66 regolamentò “l’ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni”. Il primo concorso aperto alle candidate donne fu indetto nel maggio dello stesso anno, e risultarono idonee otto candidate su 187 (i posti messi a concorso erano 200).

Fino ad allora l’art. 7 della legge 17 luglio 1919 n. 1176 (abrogata dall’art. 2 della legge n. 66 del 1963) ammetteva le donne all’esercizio delle professioni ed agli impieghi pubblici, ma le escludeva espressamente dall’esercizio della giurisdizione.

Discriminazione che oggi riguarda tutti quelli nati oltre il confine comunitario. Anzi no. Escludere dai concorsi pubblici un immigrato non costituisce una forma di discriminazione. Almeno in Italia. Dove la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una donna albanese, invalida e legalmente presente sul territorio nazionale, contro il Ministero dell’economia. Il quale le aveva negato la possibilità di accedere alla selezione per 5 posti presso i Monopoli di Stato. Consentendo la partecipazione ai soli cittadini italiani e comunitari. Per i Supremi Giudici  nessuna norma italiana introduce l’obbligo di equiparare i cittadini extra-UE a quelli nazionali e comunitari soprattutto per ciò che riguarda le assunzioni nel settore pubblico. Che in virtù della delicatezza di alcune funzioni svolte alle dipendenze dello Stato “giustifica la preferenza per i cittadini italiani”.

 

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