Ambiente

Clima e fame, quando il cerchio non è magico

Tempeste, alluvioni, siccità, eventi meteorologici estremi sono tra gli effetti più eclatanti del cambiamento climatico. Ma non sono i soli, perché ce n’è un altro meno riconoscibile e certo meno conosciuto: la fame. Questi eventi infatti hanno un forte impatto sulle riserve di cibo del pianeta, e gli effetti sono già visibili: aumento dei prezzi, aumento della fame e della povertà, distruzione delle vite e delle capacità di reddito degli uomini e delle donne che coltivano il pianeta. Secondo gli esperti, entro il 2050 potrebbero esserci oltre 50 milioni di affamati in più a causa dei cambiamenti climatici.

Ma cosa chiude il cerchio, rendendolo ancora più vizioso? Il fatto che il 25% delle emissioni globali che determinano il cambiamento climatico sia ascrivibile alla produzione industriale di cibo delle grandi multinazionali dell’alimentare. Un legame tra produzione del cibo e inquinamento assolutamente non ovvio, messo in luce dalla campagna di Oxfam Scopri il Marchio, che analizza le politiche delle 10 più grandi multinazionali del cibo che hanno un impatto sulla povertà.

Le dieci maggiori aziende del sistema alimentare globale – le “Grandi Sorelle” del Cibo: Associated British Foods (Twinings), Coca-Cola, Danone, General Mills (Häagen-Dazs), Kellogg, Mars, Mondelez International (Milka), Nestlé, PepsiCo e Unilever (Algida, Motta, Alemagna) – si trovano oggi al centro di questo circolo vizioso: soffrono dell’impatto dei cambiamenti climatici, ma allo stesso tempo, con le loro modalità produttive, contribuiscono a peggiorarlo. Complessivamente le Dieci Sorelle del Cibo emettono una quantità di gas serra pari a quella prodotta dalla Spagna (dati 2010 dell’United States Department of Energy’s Carbon Dioxide Information Analysis Center – CDIAC), ovvero dal 25° stato maggiormente inquinante al mondo.

Secondo le stime di Oxfam, qualora queste aziende adottassero politiche produttive più adeguate, potrebbero tagliare le loro emissioni di 80 milioni di tonnellate entro il 2020, un’azione equivalente a chiudere al traffico le maggiori città del mondo: Los Angeles, Pechino, Londra e New York.

Il rapporto di Oxfam Cambiare Clima per Vincere la Fame, pubblicato nel quadro dell’iniziativa Scopri il Marchio  evidenzia che le dieci Grandi Sorelle del Cibo, producono un totale di 263,7 milioni di tonnellate di gas a effetto serra – più di quanto prodotto complessivamente da Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, due stati che basano le loro economie sulla produzione di petrolio e gas. La metà di queste emissioni è prodotta in ambito agricolo, lungo la filiera di produzione dei loro prodotti alimentari, ma non è conteggiata dalle aziende nel quadro dei loro impegni di riduzione delle emissioni derivanti dalla loro attività. Tuttavia, per evitare l’innalzamento della temperatura terrestre oltre i due gradi, questo trend deve cambiare urgentemente.

“Chiediamo ai cittadini italiani e a quelli di tutto il mondo di essere dei consumatori consapevoli facendo sentire la propria voce perché le imprese presenti con i loro prodotti alimentari nella quotidianità delle nostre tavole, modifichino il modo di produrre cibo, migliorando le proprie politiche di contrasto e prevenzione dei cambiamenti climatici”, ha dichiarato Maurizia Iachino, Presidente di Oxfam Italia. “La voce dei consumatori di tutto il mondo ha già avuto grandi effetti: la campagna Scopri il Marchio è riuscita ad ottenere impegni importanti delle multinazionali del cibo in tema dei diritti delle lavoratrici e della salvaguardia della terra dei piccoli produttori, colpiti dal land grabbing. Un dialogo fin qui molto positivo, che ci auspichiamo possa produrre effetti concreti anche sul cambiamento climatico”.

Alcune delle grandi compagnie del settore alimentare stanno guardando già con maggior attenzione alle perdite subite a causa dei cambiamenti climatici: Unilever ha calcolato perdite per 415 milioni di dollari l’anno, General Mills ha perso 62 giorni di raccolto solo nel primo trimestre del 2014 a causa di fenomeni atmosferici estremi. In generale, Unilever, Coca Cola e Nestlé sono le aziende con le politiche più avanzate in tema di cambiamenti climatici: tuttavia tutte hanno abbondante spazio per migliorare le proprie azioni. Nessuna di queste aziende si è però impegnata a livello globale per ridurre le emissioni derivanti dalla produzione agricola, o pretendere dai loro fornitori l’adozione di target specifici: solo la filiale inglese di PepsiCo si è impegnata a ridurre le emissioni dalla propria filiera di fornitura del 50% in 5 anni.

Secondo la classifica di Scopri il Marchio sono  Kellogg e General Mills ad essere le peggiori in fatto di lotta al cambiamento climatico: per questo Oxfam chiede alle due multinazionali di cambiare rotta  e diventare due “campioni” nell’adozione di politiche e pratiche più responsabili lungo tutta la filiera. “Abbiamo scelto la Giornata Mondiale dell’Ambiente per chiedere ai consumatori italiani e a quelli di tutto il mondo di contattare Kellogg e General Mills scrivendo sulle loro pagine Facebook e su quelle dei loro marchi per chiedere loro di cambiare rotta: un’azione globale per far sentire alle due compagnie la voce dei consumatori.

Auspichiamo che Kellogg e General Mills rendano presto pubblica la quantità di emissioni che deriva dalle loro produzioni agricole, inclusa quella dei loro fornitori, e si impegnino a raggiungere target di riduzione delle emissioni per tutta la filiera di produzione, coinvolgendo le aziende e i governi con cui sono a contatto per affrontare insieme le conseguenze del cambiamento climatico. Una lotta nell’interesse stesso del loro futuro: secondo le nostre stime, i prezzi di alcuni prodotti, i Corn Flakes della Kellogg o i cereali di General Mills, potrebbero aumentare fino al 44% nei prossimi 15 anni a causa dei fenomeni di cambiamento climatico”, afferma Elisa Bacciotti, direttrice Campagne e Programmi in Italia di Oxfam Italia.

 

 

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