Attualità

L’opinione. Un’altra Europa, un’altra Italia

Ci sono molti modi, in campagna elettorale per imbavagliare, la voce dell’avversario. Il più consueto, almeno in Italia, consiste nel decretare ai danni dei candidati concorrenti, un tacito blackout mediatico  sulle tv pubbliche e private, sulla stampa, sui blog, dove dominano incontrastati i leader e dei partiti e dei movimenti che i sondaggi indicano tra i favoriti. Questa tradizionale forma di esclusione è stata abbondantemente sperimentata ai danni della “lista Tsipras – Altra Europa”, e persino esasperata dalla discutibile e grottesca provocazione del bikini di Paola Bacchiddu. Ma ad essa si sono aggiunte più sottili tattiche di silenziamento.

La prima e più efficace  consiste nella finta condivisione o nel plagio più spudorato delle severe critiche agli attuali assetti politico-economici della Ue contenuti nel programma della Lista Tsipras-Altra Europa.  Tutte le maggiori forze politiche italiane, da Forza Italia al M5S, passando per il PD, stanno dando vita a una straordinaria kermesse per confondere le voci in un indifferenziato “rumore” contro le restrizioni e i vincoli imposti dalla Troika, ai quali pure hanno finora aderito senza batter ciglio. C’è, infatti, un tratto che accomuna gli slogan elettorali di Grillo, Renzi e Berlusconi: la condanna del neoliberismo e del monetarismo che trova nella Germania di Angela Merkel una facile “testa di turco”, e quindi l’unanime rifiuto del fiscal compact e del conseguente obbligo al pareggio di bilancio. Per chi ha memoria corta, ricordiamo che il fiscal compact fu votato nel marzo del 2012, mentre il 17 aprile 2012 è stata approvata, a tambur battente, la legge costituzionale n.1/12 volta a introdurre nella Costituzione italiana il rispetto dei vincoli sul  pareggio di bilancio derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. E naturalmente,  senza che il tanto vituperato ‘bicameralismo perfetto’ del nostro Parlamento ne abbia rallentato l’iter di approvazione. Questa legge modifica gli artt. 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, incidendo sulla disciplina di bilancio dell’intero aggregato delle pubbliche amministrazioni, compresi pertanto gli enti territoriali (regioni, province, comuni). Questi provvedimenti ‘suicidi’ (che impegnano l’Italia ad una specie di mutuo forzoso ventennale, per la folle cifra di circa 50 miliardi di euro all’anno) furono definitivamente approvati dal governo Monti e votati nel 2012 con i voti di Pdl, Pd e Centro. Sarebbe stato dunque auspicabile che tutti gli esponenti e i candidati di questi partiti (inclusi quelli di Ncd e delle due Scelte Civiche) avessero apertamente dichiarato, all’inizio di ogni loro comizio o comparsata televisiva, se rivendicavano quel voto o se ne chiedevano scusa. È certo, infatti, che il fiscal compact non si è votato da solo, come vorrebbero darci a intendere le tardive e schizofreniche proteste di Renzi e Berlusconi contro le “bravate” pangermaniste della Ue; gli stessi che appena due anni fa, genuflessi dinanzi alla Merkel, recitavano la parte del Don Abbondio di turno, “disposto, sempre disposto all’obbedienza”. Ad essi si aggiunge il “vivo e vibrante” euroscetticismo della Lega e del M5S, che propongono, rispettivamente, il ritorno allo “scudo” del regno lombardo-veneto o alla vecchia e cara “lira”, al “modico prezzo” di una catastrofe valutaria, che gli attuali organismi di controllo finanziari non sarebbero in grado di gestire, e che ci condannerebbe ad un irreversibile declino. Si tratta, evidentemente, di una banalizzazione delle questioni critiche sollevate in primis dalla Lista Tsipras-Altra Europa, che raccoglie le precise indicazioni sulla necessaria remissione del debito pubblico e sull’urgenza di nuove politiche comunitarie per il lavoro attraverso un “piano Marshall per l’Europa”, proposte fin dall’inizio della crisi dai due premi Nobel dell’economia, Stiglitz e Krugman.

Ma al di là della tattica di barare nel gioco dei programmi “cambiando le carte in tavola” a seconda che si parli a Roma o a Bruxelles,  si è fatto ricorso anche ad un altro metodo di silenziamento: distrarre l’attenzione dell’elettore dalle problematiche europee per ricondurlo subdolamente a quelle relative ai fangosi  equilibri del sistema politico italiano. Le elezioni del 25 maggio sono state declassate dai partiti maggiori a test elettorale sulla tenuta del governo Renzi e sulla sopravvivenza di Forza Italia (nonostante le condanne e gli arresti quotidiani dei suoi uomini di punta), al fine ricontrattare i patti più scellerati delle “larghe –o larghissime- intese”. Perciò mentre Renzi punta sugli 80 euro per rafforzarsi contro i ‘malumori’ della minoranza del PD, il M5S cerca disperatamente un sorpasso elettorale che autorizzi Beppe Grillo a salire le scale del Quirinale per ottenere l’incarico di un governo monocolore pentastellato. Dunque, al netto di eventuali autodafé o degli sterili velleitarismi propagandistici, tutti ammiccano agli equilibri interni della politica nazionale con un’alzatina di spalle:  “Europa, chi…?”

In questo contesto, l’austera correttezza della Lista Tsipras -che si è spesa per discutere unicamente delle questioni europee, lasciando al margine, per onestà intellettuale, le beghe, i compromessi e gli scandali che occupano e pre-occupano gli strateghi del Belpaese- rischia di essere autolesionistica. Si è diffusa infatti l’idea che l’Altra Europa sia soltanto un effimero tentativo di ri-aggregazione della cosiddetta ‘sinistra radicale’ sulla scia della greca Syriza, destinata tuttavia a sciogliersi all’indomani delle elezioni.  Del resto, il ritardo e la spartana ristrettezza dei mezzi con i quali  la Lista Tsipras ha organizzato la propria campagna elettorale giustifica qualche perplessità sugli esiti del voto. Sarebbe perciò un risultato eclatante se, superando la soglia del 4%, essa resuscitasse anche in Italia la chance per una sinistra unitaria e profondamente rinnovata nei contenuti e nelle forme di organizzazione, capace di indicare le vie e i modi per una fuoriuscita dalla crisi sul terreno di una vigorosa riscossa democratica. I comitati di volontari – che in questi giorni stanno lavorando alacremente per questo fondamentale progetto politico- appartengono già ad un’altra Europa e ad un’altra Italia.

Fausto Pellecchia

Condividi